Sosteneva Ryszard Kapuscinski che un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo, né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta, oppure, aggiungo io, nel momento in cui facciamo ritorno a casa.
- Comincia molto prima, il viaggio, soprattutto finisce molto dopo. Continua perché si fa flusso di ricordi e risacca di emozioni, perché si affida a pensieri, sogni, letture, a volte anche parole scritte.
Di tutto questo è prova provata l'ultimo libro di Tito Barbini, Il treno non si fermò a Kiev, edito da I libri di Mompracem, storia di storie di viaggio che abbracciano due continenti e si sistemano una di seguito a l'altra, seguendo due fili conduttori: uno tutto di Tito, la sua curiosità, l'empatia che sa mettere in gioco a ogni incontro; l'altro che possiamo inseguire su una carta geografica, dal Portogallo al Vietnam, percorrendo i binari del viaggio in treno più lungo al mondo, da un oceano all'altro.
Tito spreme i suoi diari, recupera appunti su taccuini dimenticati nei cassetti, adotta altri punti di vista, investe i luoghi di ieri con domande di oggi e diverse inquietudini. Chiama a sé le tragedie della Storia per essere più attrezzato al cospetto degli orrori del presente, a partire dalla guerra in Ucraina. Racconta storie in precedenza trascurate non perché di minore valore, ma perché dovevano attendere il tempo giusto: ed è vero che le storie più importanti a volte sono proprio quelle che abbiamo consegnato al silenzio, magari nel timore di non esserne ancora all'altezza.
Tempi, luoghi, narrazioni che la ferrovia tiene insieme, come un antidoto alla malattia del viaggiatore più autentico, in quanto tale incline alla divagazione, alla tentazione non messa in conto, al cambio di piani e di mete.
Il treno, certo, è aspetto non secondario della seduzione che questo libro esercita. Garcìa Marquez, al proposito, affermava che Il treno è l'unica maniera umana di viaggiare. "L'aereo - diceva - sembra un miracolo, ma va così veloce che arrivi solo col corpo, e poi ti muovi per due o tre giorni come una sonnambula, finché non arriva l'anima rimasta indietro”.
E sì, il treno è mezzo ideale per il cacciatore di storie, col suo tempo dilatato, con i pensieri che scivolano come il mondo dal finestrino. Con la sua capacità di rendere il viaggiatore presente e puntuale a se stesso. Non posso immaginare il viaggio - i viaggi - di Tito, senza il treno.
Ora che ci penso risuona in modo particolare anche quell'aggettivo ultimo con cui ho introdotto questo suo libro. Di sicuro non sarà davvero l'ultimo, e però non manca un certo carattere ultimativo. Come se in queste pagine Tito avesse voluto abbracciare per intero il mondo raccontato in precedenza in diversi libri, ricapitolarlo per mettere qualche punto fermo.
Che poi questa espressione, punto fermo, sembra così inappropriata. Non può che esserlo per un uomo che prova a spiegare così la sua irrequietezza:
"A chi mi domanda quale sia l'obiettivo del mio viaggio rispondo che non ne ho nessuno in testa vado dove trovo qualcosa che mi incuriosisce, mi intriga, dove comincio a sentirmi a mio agio, a star bene, insomma".
Proprio vero che a viaggiare si comincia prima di partire.