venerdì 29 gennaio 2010

Ebbene sì, c'era l'amore nel ghetto


Hendusia avrebbe potuto uscire, salvarsi, sopravvivere. Ma non voleva che i bambini avessero paura, che piangessero. E rimase con loro, pur sapendo che cosa sarebbe accaduto. Per senso del dovere o per amore dei bambini? All'epoca era la stessa cosa

Il ricordo di Marek Edelman è un fascio di luce rapido, nervoso, incostante. Indugia per un attimo, poi si sposta per frugare altrove, perché non c'è tempo per tutti i volti, le storie, i dolori, le vite inghiottite. Si sposta e quanto c'è dietro ritorna nell'oscurità, per rimanerci fino a che qualcuno non arriverà su quella pagina, non si soffermerà su quel nome.

Marek Edelman non è uno scrittore, non lo hai mai voluto essere. Marek Edelman è stato uno dei comandanti dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, orgoglio estremo e disperato degli ebrei che presero alla sprovvista la più micidiale delle macchine di sterminio. Marek Edelman è uno che ha visto andare alla morte qualcosa come 500 mila uomini e donne e bambini, e che poi, dopo che tutto questo era finito, non se n'è più voluto andare dalla Polonia svuotata della sua civiltà ebraica (e ancora contaminata dall'antisemitismo), perchè ne doveva presidiare le tombe abbandonate.

Era anche un uomo che per tutta la lunga vita che gli è rimasta ha saputo coltivare la memoria senza pretendere di parlare a nome delle vittime: "Non ho diritto di parlare a nome loro, perché non so se morivano nell'odio oppure perdonando i loro carnefici. E nessuno ormai lo potrà sapere. Ma ho il dovere di vegliare affinché il ricordo di loro non scompaia".
Ed era anche un uomo che si voltava indietro per guardare meglio anche al presente, ad altre guerre, ad altri crimini dell'umanità, ad altre ingiustizie.

In tutto questo a me piace ricordare anche Marek Edelman uomo schivo che ha saputo comunque donarci parole preziose. Come queste, racchiuse in un libretto - C'era l'amore nel ghetto, pubblicato da Sellerio - che non so bene come definire, tutto fuorché una cronaca, un diario, un romanzo.

Se proprio proprio direi che anche questa è in qualche modo letteratura di viaggio, perché anche la memoria può rappresentare un viaggio. Un viaggio nell'inferno del ghetto. Ma non solo nell'inferno, perché come il viaggiatore è tale se è capace di guardare l'umanità che abita (e abitare è verbo diverso da popolare) le terre che attraversa, così lo sguardo di Marek Edelman ci porta testimonianza di umanità, prima ancora che di crudeltà.

Grazie a lui ho capito che è si fa un torto a semplificare, generalizzare, ridurre. Che non ci si può accontentare solo del termine di vittime per le vite che fiorivano nel ghetto.

C'era l'amore nel ghetto, appunto. Anche nel ghetto si sognava, si sperava, si faceva politica, si scriveva, ci si innamorava. Ed è proprio per tutto questo che l'orrore dello sterminio fa ancora più orrore.

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