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sabato 9 gennaio 2010
Memoria per la professoressa Enrica
Gennaio è un mese in cui curiamo con più attenzione di altri periodi dell'anno la memoria di ciò che non troppi anni fa si è consumato nel cuore della nostra civiltà, con le persecuzioni razziali. E' una cosa importante, che penso sia molto di più di un omaggio ai morti, perché riguarda il nostro presente, il nostro futuro. Nei prossimi giorni mi uscirà per Giuntina un nuovo libro, Una famiglia, che racconta la storia di alcune vite in quei terribili anni. Intanto io vorrei rinnovare il ricordo di una persona straordinaria, la professoressa Enrica Calabresi, inghiottita dall'odio e dalla ferocia. Non lo voglio fare con le pagine del libro che le ho dedicato, Un nome, ma con un articolo uscito su Repubblcia tempo fa.
Donna, ebrea e in carriera. - Beatrice Manetti - La Repubblica
Un nome, nient' altro che un nome. Nel 1933, quando fu allontanata dall'università di Firenze, dove lavorava da diciannove anni, Enrica Calabresi non era che un nome su un foglio di carta. Non era che un nome nel 1938, quando le leggi razziali le tolsero l' incarico all' università di Pisa e il posto di insegnante al liceo Galilei. Era solo un nome, uno fra i tanti, nella lista degli ebrei fiorentini che i tedeschi pretesero dopo l' armistizio del ' 43. E solo come un nome, sbagliato per di più, comparve per l' ultima volta il 1 febbraio 1944, nell' elenco dei morti pubblicato dalla rubrica di stato civile della «Nazione». Anche per Alessandra Sforza, la giovane ricercatrice della Specola che mezzo secolo dopo ha ritrovato le sue tracce nelle collezioni entomologiche del museo, Enrica Calabresi non era che un nome. Eppure è da lì che tutto è cominciato. Un nome di donna in un mondo di uomini, una scienziata nell' Italia degli anni Venti, una docente universitaria in un' epoca in cui per le donne era un miracolo anche solo frequentarla, l' università. E' così che la curiosità è diventata passione, la passione ricerca e la ricerca un
dovere. Di quel dovere si è fatto carico infine Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, che ha setacciato archivi, cercato testimoni, intervistato ex allievi e parenti, per restituire a quel nome la sua storia, in un libro intitolato appunto Un nome e appena uscito per la Giuntina. Nella sua singolarità irripetibile, Enrica Calabresi è stata all' inizio per il suo biografo quell' "uno" che solo rende possibile comprendere l' enormità del genocidio degli ebrei. Una storia simbolo, che nella tragica consequenzialità delle sue tappe sembra poterle racchiudere tutte. Ma strada facendo la vita di
questa donna timidissima e mite, che per tutta la vita ha usato il proprio talento come se non le appartenesse, ha cominciato a rivelare la sua eccezionalità. Eccezionale era la famiglia Calabresi, di quella colta e benestante borghesia ebraica di Ferrara dove la cultura e lo studio si respiravano nell' aria. Eccezionale è la carriera universitaria di Enrica, laureata a Firenze nel 1914, a ventitré anni, e chiamata subito dopo come assistente nel Gabinetto di zoologia. Nel 1918 diventa segretario della Società entomologica italiana, nel 1924 ottiene la libera docenza in zoologia. Sono questi gli anni d'oro della sua attività di scienziata e di ricercatrice: lavora alla Specola, collabora con l' Enciclopedia Treccani, frequenta l' ambiente scientifico fiorentino e corrisponde con i massimi studiosi stranieri, facilitata anche dalla sua conoscenza delle lingue. E' una donna sola - lo rimarrà per sempre, dopo la morte del fidanzato Giovanni Battista De Gasperi nella prima guerra mondiale - ma non solitaria; libera, ma senza scandalo; in carriera, e solo per i suoi meriti. Prima che la tempesta della persecuzione razziale si abbatta su di lei, l' università di Firenze la allontana per far posto a Ludovico Di Caporiacco: un uomo, non solo, ma anche un fascista della prima ora. E' la prima battuta d' arresto di una vita che sembra sia stata sempre sul punto di spiccare il volo, senza mai volare davvero. Enrica trova un posto da insegnante al Regio Istituto tecnico Galilei, poi al liceo omonimo, dove ha tra i suoi allievi una giovanissima Margherita Hack, che nella prefazione a Un nome ne ricorda la feroce timidezza, il riserbo e la preparazione. E quando l' università di Pisa, nel 1936 la risarcisce offrendole la cattedra di entomologia agraria, un' altra parete si alza tra lei e il suo futuro. Questa volta è un muro invalicabile. Gli ultimi anni prima dell' arresto Enrica li spende nella scuola ebraica di via Farini, tra gli studenti ebrei espulsi dalle scuole pubbliche: a insegnare, a dare un' illusione di normalità, a preparare un futuro che certo non sarebbe stato il suo. Lo sapeva, quando scelse di tornare a Firenze dopo
l' ultima estate passata nella casa di famiglia a Gallo Bolognese. Eppure tornò, «perché a Firenze c' è la mia vita». All' inizio del 1944 fu arrestata e incarcerata a Santa Verdiana per essere deportata ad Auschwitz. Sapeva anche quello, Enrica. Così, il 18 gennaio, usò la fialetta di veleno che da tempo portava nella borsa. L' ultima parete, almeno quella, aveva scelto di alzarla da sé.
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Aggiungi didascalia Bomba ananas. Ti piace l'unione di questi due termini. Ti dà la sensazione di tenere in mano qualcosa di vivo....
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Senza la differenza fra prossimo ed estraneo, fra appartenenza e non appartenenza, non sarei mai diventata una scrittrice. Si racconta ...
io seguo il tuo blog se ricambi mi fa piacere
RispondiEliminaciao Michele pianetatempolibero
http://pianetatempolibero.blogspot.com/