Erano venticinque anni che scrivevo, avevo pubblicato qualcosa fra i venti e i venticinque libri, mi ero fatto un nome come uno degli scrittori americani più importanti del mio tempo, i miei libri erano stati tradotti in varie lingue: eppure, con tutto ciò, ero sempre senza soldi, sempre a un passo o quasi dalla rovina
Era destino che il paese che più di tutti gli altri ha trasformato la cultura in una gigantesca macchina per fare soldi fosse lo stesso paese che in maniera più realistica, direi anche più cruda, si è interrogata sui rapporti tra arte e mercato, tra creatività e successo. Ed è dagli Stati Uniti, non di oggi ma addirittura degli anni Trenta, che arriva un racconto perfetto per meditare su tutto questo.
Si chiama Le voci del torrente, porta la forma di Sherwood Anderson, autore che forse non è conosciuto come meriterebbe, non fosse altro che per i suoi Racconti dell'Ohio. A riproporlo oggi è l'editrice Il melangolo: e pare scritto solo ieri.
C'è molto della vita di Anderson in questo libriccino: e questo ce le rende ancora più intrigante. Ma c'è molto anche di quello che vorremmo leggere e che soprattutto vorremmo ritrovare nel nostro mondo.
Ecco lo scrittore che si fa i conti in tasca e i conti non gli tornano e allora si piega alle richieste degli editor e dei dirittori delle riviste che pagano profumatamente. Dovrà scrivere cose scorrevoli, gradevoli, accattivanti, cioé accomodanti. Cose che non disturbino, che vadano giù come acqua.
E lui inizia. Solo che poi si blocca. Si blocca e non va più avanti come un apparente buon senso gli imporrebbe. E sarà per quella notte insonne passata ad ascoltare i suoni del torrente vicino a casa. Sarà che tra quei suoni gli pare di scorgere anche i passi dei vecchi amici, le voci delle donne che ha amato. Ma con la luce del giorno, la nuova mattina, ha deciso:
Ero di nuovo deciso a non impormi, a lasciare che il racconto che stavo cercando di scrivere si scrivesse da sé, a essere ancora una volta ciò che ero senpre stato, uno schiavo degli abitanti del mio mondo immaginario
Racconto dentro il racconto, ma soprattutto racconto che profuma di libertà.
Racconto come un antidoto, buono non solo per gli scrittori, ma per chiunque sia pronto ad arrendersi alle sirene di un sì troppo comodo.
Ps: Nella vita di Anderson, poi, le cose non andarono propriamente così. Un giorno si imbarcò per la Colombia, dove avrebbe dovuto tenere una conferenza a pagamento. Mangiando un panino inghiottì uno stuzzicadenti e morì di peritonite. Morte assurda, certo. Morte che è insieme esclamazione e irrisione. E mi sa che è meglio finirla qui.
Una piccola isola di parole nel grande oceano della rete per condividere libri e mondi
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...un mecenate per ogni artista...ecco cosa ci vorrebbe...oggi non si vive di arte...ma forse non è un grande male! perchè quelli che restano a galla lo fanno con lo spirito vero! e poi oggi l'arte ha cambiato verso, credo stia diventando un percorso intimo e di crescita oltre la cortina di vanagloria...
RispondiEliminabuona lettura e buon rock