Penso spesso alla storia di Anna Ventura e a quella strada attraversata una volta di troppo, che finì per consegnarla al viaggio più lungo e terribile, quello per Auschwitz. Ho provato a raccontare quel viaggio con queste parole
A guardare bene, la differenza è tutta qui: in un strada che viene attraversata nel momento sbagliato. Perché tutto inizia qui, tutto si conclude qui: esattamente in questi pochi metri che separano un marciapiede dall’altro.
Ora che mi sono inoltrato per un ben pezzo, nella storia di questa famiglia, ci penso e ripenso più volte: e ogni volta è un lampo imprevisto, un’esplosione di emozioni che arriva così, non ricercata, non annunciata.
Quasi sempre mi succede appena sortito di casa.
Il rumore del portone che si richiude dietro di me e poi i primi passi nel reticolo di vie del mio quartiere, giusto per quelle due o tre commissioni da fare. Che so, l’edicola per il giornale, il punto scommesse per la schedina della domenica, il forno dove mi servo da una vita per il pane e la schiacciata…
Talvolta, non a caso, questo pensiero mi precipita addosso un istante prima di attraversare una strada, fermo a un semaforo in attesa dell’avanti oppure di fronte alle strisce pedonali di un incrocio pericoloso, dove a nessuno salta per la testa di lasciarti passare.
Sì, succede soprattutto una frazione di secondo dopo che il passo si è staccato dal marciapiede per abbassarsi poi sull’asfalto, quasi a sottolineare che non esiste movimento, anche banale, anche impercettibile, che non sia gravido di conseguenze.
E non posso farci niente, quel lampo di pensiero mi lascia lì, obbligato a un riflesso senza volontà, quasi a un tic nervoso.
Piegare la testa, scrutare le punte dei piedi, studiare le scarpe pesanti come blocchi di cemento. Fermarsi. Esitare. Restare ancora fermo.
Più o meno come quando stai per tuffarti nelle acque di una piscina, con il presentimento del gelo che ti aspetta. E c’è quell’istante, quel preciso unico istante che precede l’altro in cui ti stacchi dal bordo, quando non potrai più farci niente. Un istante che non è nemmeno il tempo di uno schiocco di dita, che non dura abbastanza per contenere un gesto o una nuova determinazione. Sufficiente al massimo per un inutile pentimento.
Ecco, un istante così. Uno spartiacque, come il sipario che scende tra il primo e il secondo atto. Un istante irrimediabile.
Come quell’istante di un giorno del 1943 in cui Anna decide di attraversare la strada.
(da Paolo Ciampi, Una famiglia, Giuntina 2010)
Una piccola isola di parole nel grande oceano della rete per condividere libri e mondi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
La Terapia del bar: Massimiliano Scudeletti racconta il circo che si fece bar
Ho dodici anni e passo spesso dietro il bancone , posso prendere qualsiasi cosa tranne gli alcolici naturalmente, ma mi piace guardare il ...
-
Avevo voglia di un libro come Tramonto e polvere , un libro di quelli che si leggono di un fiato, perché raccontano una storia, perché...
-
Aggiungi didascalia Bomba ananas. Ti piace l'unione di questi due termini. Ti dà la sensazione di tenere in mano qualcosa di vivo....
-
Senza la differenza fra prossimo ed estraneo, fra appartenenza e non appartenenza, non sarei mai diventata una scrittrice. Si racconta ...
Nessun commento:
Posta un commento