Qui scrivo il mio nome da destra a sinistra, mentre in Italia ero Edoardo, scritto da sinistra a destra. Sono nato a Livorno...
Ecco, comincia così una delle tante testimonianze raccolte in Quest'anno a Gerusalemme (a cura di Angelo Pezzana, con un saggio di Vittorio Dan Segre, Giuntina editore), un libro che attraverso le storie personali fa emergere un pezzo di Storia con la esse maiuscola, poco noto e poco riconosciuto, almeno in Italia, eppure straordinariamente affascinante. Quello dei tanti ebrei italiani che nel Novecento abbandonarono il paese dove erano nati e dove erano nati i loro genitori e i genitori dei loro genitori per cominciare una nuova vita in Israele.
Furono diverse migliaia, soprattutto dopo le leggi razziali del fascismo e dopo i terribili anni della Shoah. Ci fu chi lasciò l'Italia per scelta e chi per necessità. Chi si sentiva tradito e chi non aveva più la forza di guardarsi indietro. Chi non aveva più niente con sè e chi soprattutto aveva voglia di ricominciare.
Tante storie confluite in un altro paese. Popolo migrante anche questo, che forse ha reso più povera l'Italia, privata di tante energie, di tante intelligenze, tante speranze. E che pure ha portato qualcosa dell'Italia in un nuovo paese, tutto da inventare e costruire, nelle sue immense difficoltà e talvolta nelle sue contraddizioni.
Questo libro racconta tutto questo e racconta anche il senso di un legame tra il prima e il dopo, tra il paese abbandonato e quello trovato, che le storie personali non hanno potuto recidere.
E questo si capisce ancora di più che in un saggio, semplicemente dando la parola al ricordo.
Uomini e donne che donano il senso di una vita intera. In case dove magari non si parla più italiano eppure si mangiano ancora lasagne e spaghetti e per i bambini c'è sempre una ninna nanna in una lingua sconosciuta. La lingua che era dei nonni.
Ecco, comincia così una delle tante testimonianze raccolte in Quest'anno a Gerusalemme (a cura di Angelo Pezzana, con un saggio di Vittorio Dan Segre, Giuntina editore), un libro che attraverso le storie personali fa emergere un pezzo di Storia con la esse maiuscola, poco noto e poco riconosciuto, almeno in Italia, eppure straordinariamente affascinante. Quello dei tanti ebrei italiani che nel Novecento abbandonarono il paese dove erano nati e dove erano nati i loro genitori e i genitori dei loro genitori per cominciare una nuova vita in Israele.
Furono diverse migliaia, soprattutto dopo le leggi razziali del fascismo e dopo i terribili anni della Shoah. Ci fu chi lasciò l'Italia per scelta e chi per necessità. Chi si sentiva tradito e chi non aveva più la forza di guardarsi indietro. Chi non aveva più niente con sè e chi soprattutto aveva voglia di ricominciare.
Tante storie confluite in un altro paese. Popolo migrante anche questo, che forse ha reso più povera l'Italia, privata di tante energie, di tante intelligenze, tante speranze. E che pure ha portato qualcosa dell'Italia in un nuovo paese, tutto da inventare e costruire, nelle sue immense difficoltà e talvolta nelle sue contraddizioni.
Questo libro racconta tutto questo e racconta anche il senso di un legame tra il prima e il dopo, tra il paese abbandonato e quello trovato, che le storie personali non hanno potuto recidere.
E questo si capisce ancora di più che in un saggio, semplicemente dando la parola al ricordo.
Uomini e donne che donano il senso di una vita intera. In case dove magari non si parla più italiano eppure si mangiano ancora lasagne e spaghetti e per i bambini c'è sempre una ninna nanna in una lingua sconosciuta. La lingua che era dei nonni.
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