Allora l'immagine dell'austriaco che avevo ucciso mi ritornava in mente. Aveva cercato di arrendersi, aveva detto di no, col viso, con gli occhi, con quella mano alzata, con l'altra mano che si premeva contro il ventre ferito, ma io avevo sparato, e nel farlo avevo anche provato piacere
E' molte cose insieme, Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio), primo romanzo di Andrea Molesini, quello che un tempo si sarebbe detto un felice esordio narrativo.
Molte cose, davvero.
E' uno spaccato di vita della campagna veneta - il piccolo mondo antico dei signori e dei contadini - che cerca di salvare qualcosa di sè nella tempesta della Storia.
E' un'affascinante ricostruzione di eventi che non conosciamo poi molto, malgrado tutte le commemorazioni ufficiali e le lapidi dei caduti e le vie intitolate ai soldati e alle battaglie.
E' uno sguardo diverso sulla Prima Guerra Mondiale, tra la rotta di Caporetto e la conclusione delle ostilità, colta non dalla vita (e dalla morte) in trincea, ma dalle immediate retrovie, dalle terre sulla riva sinistra del Piave occupate dagli austriaci.
E' un bel racconto in prima persona - un ragazzo, Paolo, è l'io narrante - che sa essere tenero e spietato, attento ai particolari e avvincente.
Ma è soprattutto la guerra. La guerra che non si limita a uccidere. Che scava dentro e saccheggia. La guerra come un tombarolo dell'anima, che porta via ogni cosa preziosa. Che lascia persone vuote come stanze nude, private di valori e di sentimenti.
Perché la guerra è anche questa, un ragazzo come Paolo, un'adolescenza come un'ombra alle spalle, che si scopre a uccidere.
E che non si ferma, forse anche quando potrebbe. Non si ferma, perché prova perfino piacere.
E' molte cose insieme, Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio), primo romanzo di Andrea Molesini, quello che un tempo si sarebbe detto un felice esordio narrativo.
Molte cose, davvero.
E' uno spaccato di vita della campagna veneta - il piccolo mondo antico dei signori e dei contadini - che cerca di salvare qualcosa di sè nella tempesta della Storia.
E' un'affascinante ricostruzione di eventi che non conosciamo poi molto, malgrado tutte le commemorazioni ufficiali e le lapidi dei caduti e le vie intitolate ai soldati e alle battaglie.
E' uno sguardo diverso sulla Prima Guerra Mondiale, tra la rotta di Caporetto e la conclusione delle ostilità, colta non dalla vita (e dalla morte) in trincea, ma dalle immediate retrovie, dalle terre sulla riva sinistra del Piave occupate dagli austriaci.
E' un bel racconto in prima persona - un ragazzo, Paolo, è l'io narrante - che sa essere tenero e spietato, attento ai particolari e avvincente.
Ma è soprattutto la guerra. La guerra che non si limita a uccidere. Che scava dentro e saccheggia. La guerra come un tombarolo dell'anima, che porta via ogni cosa preziosa. Che lascia persone vuote come stanze nude, private di valori e di sentimenti.
Perché la guerra è anche questa, un ragazzo come Paolo, un'adolescenza come un'ombra alle spalle, che si scopre a uccidere.
E che non si ferma, forse anche quando potrebbe. Non si ferma, perché prova perfino piacere.
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