sabato 7 maggio 2011

C'è civiltà nella civiltà della forchetta

Gli uomini hanno passato per millenni la massima parte del loro tempo nell'intento di procurarsi il cibo e di confezionarlo, ma ciò non è bastato a nobilitare il tema, né a renderlo importante. Mangiare, in fondo, non è arte, non è letteratura e neppure scienza. Come si può studiare una funzione così comune, così necessaria?

Così si chiede Giovanni Rebora nelle prime pagine di La civiltà della forchetta. Storie di cibi e di cucina (Laterza), e non so se sono completamente d'accordo con lui, perché credo proprio che mangiare sia anche arte, anche letteratura, anche scienza, sicuramente anche storia, la nostra storia.


Ed è nella storia che questo libro ci accompagna. Magari per piegarci che nei secoli i mercanti non si sono scambiati solo merci e denaro, ma anche modi di cucinare. Per inseguire la diffusione del riso in Europa - senza dimenticare che se ancora oggi abbiamo risaie in Lombardia e in Piemonte lo dobbiamo agli arabi di Spagna. Per raccontarci come gli olandesi riuscivano a vendere i loro formaggi anche ai nemici con cui erano in guerra. E che per secoli c'è stato anche il caviale del Po, mica solo del Mar Nero.

Curiosità e discorsi seri, che magari si vorrebbe anche approfondire. Ma il libro è soprattutto un atto di restituzione di dignità verso tutto quello che ci sembra troppo umile, troppo quotidiano, per concedergli attenzione.

Ps: a proposito della forchetta del titolo. Pare proprio che non si cominciò a usarla per una questione di buone maniere, ma solo perché si era cominciato a mangiare la pasta, e provateci voi, a mani nude.

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