(da Paolo Ciampi, Miss Uragano, Romano editore)
Garibaldi è una leggenda che mette in movimento le fantasie e riscalda i cuori di molti. Lo puoi seguire senza tentennamenti perché è più di noi e allo stesso tempo uno di noi: uno senza ricchezze e senza quarti di nobiltà; uno che dimostra che tutto è davvero possibile.
Ripercorri la sua storia e scopri un’adolescenza trascorsa tra il porto di Nizza e i primi imbarchi come mozzo. Settimane, mesi interi, a spazzare i ponti, pelare patate, rammendare reti, a dividere con altri ragazzi le fatiche e le avventure del mare.
Garibaldi è il marinaio che uno strano destino e un bisogno di giustizia consegnano a una causa; il giovane che brama di iniziarsi ai misteri del Risorgimento, che cerca ovunque libri sulla libertà italiana e individui consacrati ad essa; il giramondo che incrocia sognatori francesi, carbonari in esilio, e un giorno, in un porto sperduto del Mar Nero, il credente ligure che gli svela il programma di Mazzini e della Giovine Italia.
È il cospiratore che nel 1833, nei sobborghi di Marsiglia, viene presentato proprio a Mazzini e senza esitazioni si mette al suo servizio, per rimediare già l’anno dopo, conseguenza di un piano appena abbozzato e subito fallito, una condanna a morte in contumacia.
È l’esule che abbandona la sua terra per ben tredici anni, che si trascina per il mondo e tenta di tutto, fa di tutto: il marinaio al servizio del bey di Tunisi e il volontario in un ospedale di Marsiglia durante un’epidemia di colera, il viaggiatore di commercio e l’insegnante di storia e matematica, il corsaro e il soldato. Un po’ Byron e un po’ Robin Hood.
È l’avventuriero idealista che approda in Sudamerica e lì comincia a scrivere la straordinaria epopea del Generale. Il Rio Grande do Sul e i tre anni di combattimento contro il Brasile, le scaramucce nei pantani e la carne arrostita all’aperto, i corpi dilaniati dai cannoni e i canti con i compagni, l’impresa pazzesca sul fiume Paranà e le trame dei politicanti di sempre.
E poi la Repubblica di Montevideo, l’Uruguay difeso dalle mire della più potente Argentina, i combattimenti a fianco degli umili, degli schiavi neri, dei farrapos, cioè dei pezzenti. Lo sguardo che insegue i gauchos a cavallo, la loro libertà nella pampa senza confini assaporata e invidiata. E quel giorno che da un qualche magazzino di Buenos Aires spuntano gli indumenti destinati ai macellai: le prime camice rosse.
È il rivoluzionario che nel Quarantotto scorge la possibilità di combattere al servizio della sua Italia, finalmente, e non se la lascia scappare, l’afferra e se la tiene stretta. Non confidate che in voi. Chi vuole vincere, vince, non si stanca di ripetere ai suoi uomini. E in questo modo scrive altri capitoli della leggenda: la guerra in Lombardia e soprattutto la strenua difesa della Repubblica Romana, con il coraggio e la determinazione che tutti gli riconosceranno.
È l’uomo che si dimostra più forte degli eventi che precipitano.
Guardatelo il giorno che lacero e sfinito arriva in Campidoglio; tutta l’assemblea della Repubblica in piedi per omaggiarlo e lui ad ammettere, prima di tutto a se stesso, quello che né il suo cuore né le sue orecchie avrebbero mai voluto ascoltare, cioè che difendere Roma è ormai impossibile: perché poi è maledettamente vero quanto afferma Mazzini, le monarchie capitolano, le repubbliche muoiono.
Però poi andategli dietro subito dopo la resa, in piazza San Pietro, quando si rivolge ai suoi volontari perché non lo abbandonino. Non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Vi offro solo fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Sembrano le parole di Churchill del maggio 1940: e lo statista inglese, si sa, su Garibaldi avrebbe voluto perfino scrivere una biografia. In quattromila lo seguono, per combattere sugli Appennini.
E così è il ribelle braccato che si destreggia tra cinque eserciti che gli danno la caccia. Bivacchi e spostamenti notturni. La piccola armata che si dissolve. La morte per stenti di Anita, la moglie sudamericana che lo aveva voluto seguire in questa scorribanda per l’Italia, in questa causa persa in partenza, cavalcando a suo fianco, lei già incinta di cinque mesi, gli splendidi capelli neri tagliati e una divisa da ufficiale indosso.
E poi l’incredibile fuga resa possibile solo dall’aiuto disinteressato dei più umili: contadini, mugnai, barcaioli, poveri pescatori, artigiani che non lo tradiscono, nonostante i rischi, la taglia sul suo capo, le bande di soldati croati sguinzagliate dietro l’infamo Caripalda. L’addio alla madre, che non rivedrà più, e poi altri anni di esilio, tra New York e il Perù, tra Panama e Hong Kong, lontano persino dai bambini che ha avuto con Anita.
Ora, dopo tanto vagabondare, dopo oltre quattro anni e mezzo di assenza, Garibaldi è ritornato nella sua Nizza.
Ed è questo l’uomo, è questo il mito, che Jessie sta per incontrare.
Garibaldi è una leggenda che mette in movimento le fantasie e riscalda i cuori di molti. Lo puoi seguire senza tentennamenti perché è più di noi e allo stesso tempo uno di noi: uno senza ricchezze e senza quarti di nobiltà; uno che dimostra che tutto è davvero possibile.
Ripercorri la sua storia e scopri un’adolescenza trascorsa tra il porto di Nizza e i primi imbarchi come mozzo. Settimane, mesi interi, a spazzare i ponti, pelare patate, rammendare reti, a dividere con altri ragazzi le fatiche e le avventure del mare.
Garibaldi è il marinaio che uno strano destino e un bisogno di giustizia consegnano a una causa; il giovane che brama di iniziarsi ai misteri del Risorgimento, che cerca ovunque libri sulla libertà italiana e individui consacrati ad essa; il giramondo che incrocia sognatori francesi, carbonari in esilio, e un giorno, in un porto sperduto del Mar Nero, il credente ligure che gli svela il programma di Mazzini e della Giovine Italia.
È il cospiratore che nel 1833, nei sobborghi di Marsiglia, viene presentato proprio a Mazzini e senza esitazioni si mette al suo servizio, per rimediare già l’anno dopo, conseguenza di un piano appena abbozzato e subito fallito, una condanna a morte in contumacia.
È l’esule che abbandona la sua terra per ben tredici anni, che si trascina per il mondo e tenta di tutto, fa di tutto: il marinaio al servizio del bey di Tunisi e il volontario in un ospedale di Marsiglia durante un’epidemia di colera, il viaggiatore di commercio e l’insegnante di storia e matematica, il corsaro e il soldato. Un po’ Byron e un po’ Robin Hood.
È l’avventuriero idealista che approda in Sudamerica e lì comincia a scrivere la straordinaria epopea del Generale. Il Rio Grande do Sul e i tre anni di combattimento contro il Brasile, le scaramucce nei pantani e la carne arrostita all’aperto, i corpi dilaniati dai cannoni e i canti con i compagni, l’impresa pazzesca sul fiume Paranà e le trame dei politicanti di sempre.
E poi la Repubblica di Montevideo, l’Uruguay difeso dalle mire della più potente Argentina, i combattimenti a fianco degli umili, degli schiavi neri, dei farrapos, cioè dei pezzenti. Lo sguardo che insegue i gauchos a cavallo, la loro libertà nella pampa senza confini assaporata e invidiata. E quel giorno che da un qualche magazzino di Buenos Aires spuntano gli indumenti destinati ai macellai: le prime camice rosse.
È il rivoluzionario che nel Quarantotto scorge la possibilità di combattere al servizio della sua Italia, finalmente, e non se la lascia scappare, l’afferra e se la tiene stretta. Non confidate che in voi. Chi vuole vincere, vince, non si stanca di ripetere ai suoi uomini. E in questo modo scrive altri capitoli della leggenda: la guerra in Lombardia e soprattutto la strenua difesa della Repubblica Romana, con il coraggio e la determinazione che tutti gli riconosceranno.
È l’uomo che si dimostra più forte degli eventi che precipitano.
Guardatelo il giorno che lacero e sfinito arriva in Campidoglio; tutta l’assemblea della Repubblica in piedi per omaggiarlo e lui ad ammettere, prima di tutto a se stesso, quello che né il suo cuore né le sue orecchie avrebbero mai voluto ascoltare, cioè che difendere Roma è ormai impossibile: perché poi è maledettamente vero quanto afferma Mazzini, le monarchie capitolano, le repubbliche muoiono.
Però poi andategli dietro subito dopo la resa, in piazza San Pietro, quando si rivolge ai suoi volontari perché non lo abbandonino. Non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Vi offro solo fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Sembrano le parole di Churchill del maggio 1940: e lo statista inglese, si sa, su Garibaldi avrebbe voluto perfino scrivere una biografia. In quattromila lo seguono, per combattere sugli Appennini.
E così è il ribelle braccato che si destreggia tra cinque eserciti che gli danno la caccia. Bivacchi e spostamenti notturni. La piccola armata che si dissolve. La morte per stenti di Anita, la moglie sudamericana che lo aveva voluto seguire in questa scorribanda per l’Italia, in questa causa persa in partenza, cavalcando a suo fianco, lei già incinta di cinque mesi, gli splendidi capelli neri tagliati e una divisa da ufficiale indosso.
E poi l’incredibile fuga resa possibile solo dall’aiuto disinteressato dei più umili: contadini, mugnai, barcaioli, poveri pescatori, artigiani che non lo tradiscono, nonostante i rischi, la taglia sul suo capo, le bande di soldati croati sguinzagliate dietro l’infamo Caripalda. L’addio alla madre, che non rivedrà più, e poi altri anni di esilio, tra New York e il Perù, tra Panama e Hong Kong, lontano persino dai bambini che ha avuto con Anita.
Ora, dopo tanto vagabondare, dopo oltre quattro anni e mezzo di assenza, Garibaldi è ritornato nella sua Nizza.
Ed è questo l’uomo, è questo il mito, che Jessie sta per incontrare.
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