Narrano le cronache letterarie che qualche giorno fa un'incontro pubblico a Hay-on-Wye - il paesino del Galles che da qualche anno si accredita come una meravigliosa capitale del libro - abbia sancito la pace tra due autori del pari di Paul Theroux e V. S. Naipaul, dopo 15 anni di aperta ostilità.
No so se i presenti, accorsi in gran numero, siano tornati a casa con la coda tra le gambe, perché si erano attesi ben altro spettacolo - gli insulti, si sa, sono sempre più memorabili. Non so se di pace vera si tratti o se solo di una tregua, magari dettata da qualche strategia editorale, visto che a pensare male a volte ci si dà.
A dire il vero non so nemmeno quale sia stato il casus belli. Se l'indiscutibile caratteraccio di Naipaul, o il fatto che Theroux una volta abbia scoperto in vendita alcuni libri che aveva dedicato personalmente al primo, o se, ancora, non sia stato piuttosto un ritrattino al vetriolo che Theroux riservò all'ex amico, catalogato, pare, come sadico e puttaniere.
Non so e mi interessa anche poco. Irene Bignardi sul paginone centrale di Repubblica ne prende spunto per passare in rassegna alcune storiche rivalità tra scrittori. Nel C'eravamo tanto odiati spiccano relazioni burrascose quali quelle tra Salman Rushdie e John Le Carré, tra Gabriel Garcìa Marquez e Mario Vargas Llosa e, andando più indietro, tra Gore Vidal e Truman Capote.
Mi fermo qui, ma l'elenco potrebbe essere sterminato, senza disdegnare altri secoli. Irene Bignardi ricorda per esempio anche Byron e Keats, Shakespeare e Marlowe. Quasi sempre amici che per qualche ragione, non propriamente nobile, hanno finito per prendersi a pesci in faccia.
Siamo poco più su del gossip. Ma tutto questo mi convince di una vecchia idea: che degli scrittori è meglio accogliere l'opera e stendere un pietoso velo sulla vita. Perché l'opera può essere grande, ma l'uomo è quasi sempre come noi, comuni mortali. Se non peggio.
No so se i presenti, accorsi in gran numero, siano tornati a casa con la coda tra le gambe, perché si erano attesi ben altro spettacolo - gli insulti, si sa, sono sempre più memorabili. Non so se di pace vera si tratti o se solo di una tregua, magari dettata da qualche strategia editorale, visto che a pensare male a volte ci si dà.
A dire il vero non so nemmeno quale sia stato il casus belli. Se l'indiscutibile caratteraccio di Naipaul, o il fatto che Theroux una volta abbia scoperto in vendita alcuni libri che aveva dedicato personalmente al primo, o se, ancora, non sia stato piuttosto un ritrattino al vetriolo che Theroux riservò all'ex amico, catalogato, pare, come sadico e puttaniere.
Non so e mi interessa anche poco. Irene Bignardi sul paginone centrale di Repubblica ne prende spunto per passare in rassegna alcune storiche rivalità tra scrittori. Nel C'eravamo tanto odiati spiccano relazioni burrascose quali quelle tra Salman Rushdie e John Le Carré, tra Gabriel Garcìa Marquez e Mario Vargas Llosa e, andando più indietro, tra Gore Vidal e Truman Capote.
Mi fermo qui, ma l'elenco potrebbe essere sterminato, senza disdegnare altri secoli. Irene Bignardi ricorda per esempio anche Byron e Keats, Shakespeare e Marlowe. Quasi sempre amici che per qualche ragione, non propriamente nobile, hanno finito per prendersi a pesci in faccia.
Siamo poco più su del gossip. Ma tutto questo mi convince di una vecchia idea: che degli scrittori è meglio accogliere l'opera e stendere un pietoso velo sulla vita. Perché l'opera può essere grande, ma l'uomo è quasi sempre come noi, comuni mortali. Se non peggio.
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