E' molte cose insieme Lui non dette l'ordine (Edizioni Ets) di Giovanni Parlato, bravo giornalista del quotidiano Il Tirreno capace di coniugare rigore professionale e valori umani.
Molte cose davvero, e allora è meglio partire da ciò che non è, tanto per sgombrare subito il campo. Non è la ricostruzione di uno dei più grandi e controversi misteri del nostro Novecento, l'omicidio del commissario Calabresi. Non è la storia delle vicende giudiziari di Adriano Sofri (e con lui di Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani), accusato e poi condannato per quell'omicidio. E non è nemmeno un libro a tesi, semmai un libro che le tesi intende rimetterle in discussione.
Parlato parte da una sentenza, dalle porte di una prigione che si aprono, da un incontro in carcere con l'uomo che la giustizia ha appena giudicato colpevole. E' un cronista, inviato dal suo giornale. Ed è la verità quello che gli si chiede, ma proprio la verità è il suo problema.
Un'aula di tribunale, con tutte le sue carte e le sue procedure, ha affermato la sua verità. Però a volte basta uno sguardo, perchè le prime crepe si aprano.
Non li avevo mai visti prima. E la sensazione, a pelle, fu che queste tre persone fossero state condannate ingiustamente
Ecco, comincia così. Col dubbio che aiuta a rimettere in discussione e con la memoria che ci spinge a non chiudere le cose una volta per tutte.
E allora, prima ancora che su un caso - il caso Sofri - questo è un libro sulle grandi questioni che sono di tutti noi. Sulle verità troppo comode, sulla possibilità (e l'impossibilità) di giudicare, sui silenzi della storia, sulle parole che possono sottrarre la libertà e a volte anche restituirla.
Libro bello, quello di Giovanni Parlato. Libro che va abbondantemente oltre ogni aspettativa, che pagina dopo pagina sa appassionare come un romanzo, perché è così che succede, se ci si mette al servizio della verità (anzi, del dubbio che fa bene alla verità) non solo per fame di titolo, per smania di scoop, ma piuttosto per quel fare bene le cose che è in primo luogo un impegno con noi stessi.
Perchè con noi, grazie a noi, domani il mondo sia un poco migliore di quanto lo sia stato fino a ieri.
Molte cose davvero, e allora è meglio partire da ciò che non è, tanto per sgombrare subito il campo. Non è la ricostruzione di uno dei più grandi e controversi misteri del nostro Novecento, l'omicidio del commissario Calabresi. Non è la storia delle vicende giudiziari di Adriano Sofri (e con lui di Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani), accusato e poi condannato per quell'omicidio. E non è nemmeno un libro a tesi, semmai un libro che le tesi intende rimetterle in discussione.
Parlato parte da una sentenza, dalle porte di una prigione che si aprono, da un incontro in carcere con l'uomo che la giustizia ha appena giudicato colpevole. E' un cronista, inviato dal suo giornale. Ed è la verità quello che gli si chiede, ma proprio la verità è il suo problema.
Un'aula di tribunale, con tutte le sue carte e le sue procedure, ha affermato la sua verità. Però a volte basta uno sguardo, perchè le prime crepe si aprano.
Non li avevo mai visti prima. E la sensazione, a pelle, fu che queste tre persone fossero state condannate ingiustamente
Ecco, comincia così. Col dubbio che aiuta a rimettere in discussione e con la memoria che ci spinge a non chiudere le cose una volta per tutte.
E allora, prima ancora che su un caso - il caso Sofri - questo è un libro sulle grandi questioni che sono di tutti noi. Sulle verità troppo comode, sulla possibilità (e l'impossibilità) di giudicare, sui silenzi della storia, sulle parole che possono sottrarre la libertà e a volte anche restituirla.
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