Non ci siamo più. Ma siamo in tutti voi.
Questo era lo spirito che animava il pastore Lewi Pethrus, questa era la sua volontà. Mettersi in cammino, senza sapere dove sarebbe arrivato. E in quel cammino, rinnovarsi nel profondo. In quel cammino, deporre i semi di un'altra vita.
Fu un lungo viaggio, quello di Lewi, grande riformatore religioso nella Svezia dei primi del Novecento, quando la Svezia non era affatto la Svezia che oggi ci viene in mente, socialdemocrazia e welfare state, Abba e movida scandinava.
Viaggiò in un paese, viaggiò nella storia, viaggiò nel bene e nel male, non per costruire una Chiesa, perché solo il viaggio contava, alla fine. Non per obbedire alla Bibbia, perché anche la Bibbia era un'incompiuta e attendeva di essere rinnovata.
Per Olov Enquist, lo scrittore che noi conosciamo meglio per lo straordinario Il medico di corte, questa storia ce la racconta tutta ne Il viaggio di Lewi, in Italia pubblicato - è quasi scontato - da Iperborea. E ci regala così un altro libro a metà tra la biografia e il romanzo, con qualche dose di memoria personale.
E magari ci si può anche perdere, in questo libro troppo lungo e non sempre coinvolgente. Però che storia che è questa, che attraversa anche le prime lotte sociali in Svezia, i sindacati che cominciano a organizzarsi, la nobiltà e la miseria di un mondo intellettuale.
Poeti che si convertono, religiosi che tradiscono. Umiltà e ambizioni. Visioni celesti e mense per poveri. E alla fine, alla fine, la stessa immagine con cui comincia il libro, quel cimitero - anzi, quel campo di Dio - con le lapidi battute dal vento e le lettere ormai illeggibili.
Anzi, con quell'unico epitaffio che ancora si legge:
Era umile, ma fece del suo meglio
A futura memoria. E anche per ogni giorno che ci viene donato.
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