Mi piace ciò che scrive Andrea Camilleri del suo lavoro di scrittore. Mi piace perché ci dice che vivere di questo lavoro è una fortuna, un privilegio raro. Scrivere, spiega, dev'essere un divertimento prima che una fatica. E se fatica c'è, non si deve vedere. Come al circo, quando un trapezista vola alto... Leggero, così leggero che non si riesce a percepire tutto quanto c'è dietro.
Dice, Camilleri, in una sua conversazione con Tullio De Mauro, pubblicata sul Venerdì di Repubblica:
Allora.... la storia del divertimento è assolutamente vera. Tant'è vero che io alle volte comincio un racconto, vedo che fatico, e lo lascio perdere, non insisto, vuol dire che la cosa è nata male dentro di me. Invece il divertimento è una sorta di leggerezza da trapezista. Quando noi vediamo una trapezista che fa tre salti mortali e poi s'aggrappa al trapezio, non ci mostra per niente il duro esercizio quotidiano, la fatica, il sudore, la paura; non ci mostra niente perché altrimenti noi non godremmo più di quello che vediamo, soffriremmo con lei. Ecco, per me l'ideale della scrittura è non far vedere mai il lavoro che c'è stato dietro. Perciò faccio come l'assassino: appena un romanzo è pubblicato, distruggo tutto il lavoro che c'è prima, lo butto nel cestino, lo porto personalmente del cassonetto della spazzatura riservato alla carta
Ci fossero più trapezisti della scrittura, capaci di incantarci con la leggerezza dei loro salti mortali. Più trapezisti e meno gente compaciuta del fardello che si porta sulle spalle. Come se il peso dello scrivere fosse mai comparabile a quello di vivere, e vivere al meglio.
Una piccola isola di parole nel grande oceano della rete per condividere libri e mondi
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