Per quanto il problema della morte sia cruciale, forse è ancora più radicale la sfida che ci viene dal tempo in quanto tale, dalla temporalità irreversibile per cui il nostro essere è un divenire
Roberto Mancini è un filosofo - e addirittura un filosofo teoretico - di cui recentemente ho letto diversi libri, complice un incontro in Casentino nel quale, sperando di essere all'altezza, dovrò porgli qualche domanda (domenica 2 ottobre, ore 15.30, Pieve di Romena, nell'ambito di Le Parole e il Silenzio). E' anche un uomo che sa far scendere la filosofia dai più alti cieli dell'astrazione e usarla per le grandi questioni della nostra vita: come il tempo, per esempio, che poi davvero è la questione delle questioni, forse più ancora della morte.
Consiglio a tutti, allora, questo piccolo libro, Il senso del tempo e il suo mistero (Pazzini editore), piccolo ma denso, denso ma capace di parlare al cuore di tutti.
Pagine in cui si spiega che il tempo non è solo un contenitore di cose ed eventi, perché noi stessi siamo il tempo, noi stessi siamo intessuti di tempo. Pagine che ci esortano a comprendere che il tempo non è il nemico che ci toglie tutto, perché il tempo in realtà ci dà tutto ciò che siamo, compreso la possibilità di esserlo. Pagine che ci restituiscono anche la dimensione del futuro, la proiezione verso il futuro, condizione imprescindibile per poter vivere pienamente il tempo.
Altro che giochi intellettuali. In ballo qui c'è il nostro rapporto con la vita. E la possibilità di capirla un po' di più, magari grazie a parole come queste:
L'orologio è il tentativo di vedere il tempo. Ma il tempo è invisibile. Però lo posso ascoltare...
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