Cambiare panorama: abbandonare Londra e l'Inghilterra e andare in giro per l'Europa come un vagabondo... Ad un tratto, questa non era solo una cosa ovvia, era l'unica da fare
Non ha nemmeno vent'anni e deve fare già i conti con una vita di promesse mancate e di macerie, Patrick Leigh Fermor, quando prende la decisione che la vita gliela cambierà sul serio, portandolo sulla strada giusta, quella che porta lontano.
E' il 1933, dicembre - la peggiore stagione, in effetti, per partire. Munito solo di uno zaino da alpinista, di un cappotto dell'esercito, di un passaporto che lo certifica come studente (senza denunciarne i fallimenti) e di tante buone letture alle spalle, Fermor lascia l'Inghilterra e lascia le sue prime orme sui campi innevati dell'Olanda.
Un obiettivo: raggiungere a piedi Costantinopoli - allora si chiamava ancora così - seguendo il corso dei grandi fiumi della civiltà europea, il Reno e il Danubio. Un viaggio da chierico vagante, da nomade, da sognatore. A casa tornerà solo dopo diversi anni.
E che bello questo libro che racconta le storie, le persone, i paesi e i popoli della prima parte del viaggio, fino all'Ungheria. Intenso, raffinato, autentico.
Immergetevi in esso, con il bagaglio di pensieri più leggero che potete. Magari considerate solo la data: il 1933. L'Europa sospesa tra i due macelli della guerra mondiale. L'Europa che oggi non c'è più e quella che ancora resiste, forse.
I tedeschi sembrano ancora solo dei pacifici bevitori di birra, persi dietro i loro canti e le loro storie di gnomi e di principi, ma le camice brune di Hitler già proiettano le loro lugubri ombre. Non si contano i cimiteri militari, eppure Fermor può sorprendersi (e noi con lui), per la gentilezza e l'ospitalità che incontrerà per tutto il viaggio:
Sembrava che di ogni mondo mi toccasse in sorte la parte migliore
Quando l'ho finito non mi è nemmeno dispiaciuto, perché ho pensato ai passi che continuerò a fare con il seguito, sempre pubblicato da Adelphi. Per inciso, la stessa casa editrice di Bruce Chatwin. Ed è curioso che per tanto tempo ci si sia dimenticati di Fermor, per osannare Chatwin: che poi di Fermor si considerava, giustamente, quasi un discepolo.
Non ha nemmeno vent'anni e deve fare già i conti con una vita di promesse mancate e di macerie, Patrick Leigh Fermor, quando prende la decisione che la vita gliela cambierà sul serio, portandolo sulla strada giusta, quella che porta lontano.
E' il 1933, dicembre - la peggiore stagione, in effetti, per partire. Munito solo di uno zaino da alpinista, di un cappotto dell'esercito, di un passaporto che lo certifica come studente (senza denunciarne i fallimenti) e di tante buone letture alle spalle, Fermor lascia l'Inghilterra e lascia le sue prime orme sui campi innevati dell'Olanda.
Un obiettivo: raggiungere a piedi Costantinopoli - allora si chiamava ancora così - seguendo il corso dei grandi fiumi della civiltà europea, il Reno e il Danubio. Un viaggio da chierico vagante, da nomade, da sognatore. A casa tornerà solo dopo diversi anni.
E che bello questo libro che racconta le storie, le persone, i paesi e i popoli della prima parte del viaggio, fino all'Ungheria. Intenso, raffinato, autentico.
Immergetevi in esso, con il bagaglio di pensieri più leggero che potete. Magari considerate solo la data: il 1933. L'Europa sospesa tra i due macelli della guerra mondiale. L'Europa che oggi non c'è più e quella che ancora resiste, forse.
I tedeschi sembrano ancora solo dei pacifici bevitori di birra, persi dietro i loro canti e le loro storie di gnomi e di principi, ma le camice brune di Hitler già proiettano le loro lugubri ombre. Non si contano i cimiteri militari, eppure Fermor può sorprendersi (e noi con lui), per la gentilezza e l'ospitalità che incontrerà per tutto il viaggio:
Sembrava che di ogni mondo mi toccasse in sorte la parte migliore
Quando l'ho finito non mi è nemmeno dispiaciuto, perché ho pensato ai passi che continuerò a fare con il seguito, sempre pubblicato da Adelphi. Per inciso, la stessa casa editrice di Bruce Chatwin. Ed è curioso che per tanto tempo ci si sia dimenticati di Fermor, per osannare Chatwin: che poi di Fermor si considerava, giustamente, quasi un discepolo.
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