Orah uscì dalla stanza a ritroso, attenta a non voltare le spalle agli oggetti di suo figlio. Si fermò e li osservò dall'esterno, con una nostalgia da esule: una maglia stropicciata del Manchester United, un calzettone militare abbandonato, una lettera che spuntava da una busta, un vecchio giornale, una rivista di calcio, una fotografia di Ofer con Talia vicino a una cascata nel Nord di Israele, piccoli pesi di ferro di tre e cinque chili sul tappeto, un libro capovolto. Qual era l'ultima frase che Ofer aveva letto? Quale l'ultima immagine che avrebbe visto?
Sono convinto che la nostalgia dell'esule sia sentimento ricorrente di ogni genitore che si avventura nella camera del figlio. Ma non c'è solo la nostalgia, in questo libro di David Grossman, che trabocca di emozioni, stati di animo, movimenti interiori. In effetti c'è così tanto di tutto questo da scaricare sul lettore un peso quasi insostenibile.
Forse non è un capolavoro, ma questo è uno di quei libri che una volta terminati (e non sarà facile considerata la mole) difficilmente scorderete.
E sarà con voi, il presentimento di Orah, la madre che avverte la morte del figlio in guerra già al momento della partenza e per questo si ostina a partire per una gita, quasi a non voler sapere. Come se non sapendo le cose finissero per non accadere.
Saranno con voi l'incapacità di vivere una vita normale di Avram, l'amico degli anni di infanzia, così terribilmente ferito nel corpo e nello spirito.
Sarà con voi, la baldanza con cui Ofer, il figlio di Orah, parte volontario per la guerra il giorno stesso in cui in realtà dovrebbe essere congedato, quasi fosse una partita di calcio. Pensare che Ofer significa cerbiatto (e A un cerbiatto somiglia il mio amore è anche una citazione del Cantico dei Cantici)
Poi naturalmente il libro non può vivere solo per se stesso, perché come fai a dimenticare che mentre stava concludendo questo libro Grossman ha davvero perso un figlio in guerra?
Come scrive in una nota in fondo Uri - questo il nome - conosceva la trama del libro e i suoi personaggi. Quando telefonava chiedeva sempre gli sviluppi della storia ("cosa gli hai fatto fare questa settimana?")
A quel tempo io avevo la sensazione - o meglio, covavo il desiderio - che il libro che stavo scrivendo lo proteggesse
Non è stato così, disgraziatamente. E a leggerlo oggi viene in mente che tra tante parole fatte per alleviare realtà altrimenti insopportabili ci sono anche parole che hanno come il dono della profezia, nel farsi realtà.
Sono convinto che la nostalgia dell'esule sia sentimento ricorrente di ogni genitore che si avventura nella camera del figlio. Ma non c'è solo la nostalgia, in questo libro di David Grossman, che trabocca di emozioni, stati di animo, movimenti interiori. In effetti c'è così tanto di tutto questo da scaricare sul lettore un peso quasi insostenibile.
Forse non è un capolavoro, ma questo è uno di quei libri che una volta terminati (e non sarà facile considerata la mole) difficilmente scorderete.
E sarà con voi, il presentimento di Orah, la madre che avverte la morte del figlio in guerra già al momento della partenza e per questo si ostina a partire per una gita, quasi a non voler sapere. Come se non sapendo le cose finissero per non accadere.
Saranno con voi l'incapacità di vivere una vita normale di Avram, l'amico degli anni di infanzia, così terribilmente ferito nel corpo e nello spirito.
Sarà con voi, la baldanza con cui Ofer, il figlio di Orah, parte volontario per la guerra il giorno stesso in cui in realtà dovrebbe essere congedato, quasi fosse una partita di calcio. Pensare che Ofer significa cerbiatto (e A un cerbiatto somiglia il mio amore è anche una citazione del Cantico dei Cantici)
Poi naturalmente il libro non può vivere solo per se stesso, perché come fai a dimenticare che mentre stava concludendo questo libro Grossman ha davvero perso un figlio in guerra?
Come scrive in una nota in fondo Uri - questo il nome - conosceva la trama del libro e i suoi personaggi. Quando telefonava chiedeva sempre gli sviluppi della storia ("cosa gli hai fatto fare questa settimana?")
A quel tempo io avevo la sensazione - o meglio, covavo il desiderio - che il libro che stavo scrivendo lo proteggesse
Non è stato così, disgraziatamente. E a leggerlo oggi viene in mente che tra tante parole fatte per alleviare realtà altrimenti insopportabili ci sono anche parole che hanno come il dono della profezia, nel farsi realtà.
"La patria è dove si sta bene". (Renzo Tramaglino).
RispondiEliminaSe la patria è diventata inguaribilmente terra di sofferenza e di morte, è diritto dei nostri figli andarsene altrove e nostro dovere aiutarli a salvarsi.