Ci sono mostre di pittura che sono assai di più di una successione di opere, che ci raccontano un'epoca, una storia, un ambiente di cultura. Mostre che, per quanto mi riguarda, diventano parole, libri, suggestioni, pagine già lette o che forse un giorno leggerò.
Americani a Firenze, inaugurata nei giorni scorsi a Firenze è senz'altro una di queste. Per me, soprattutto per me che non sono un esperto di pittura, assai di più di un'occasione per ammirare i quadri di John Singer Sargent e di altri artisti assai meno conosciuti.
E' come se attraverso quei quadri si potesse sfogliare un libro - splendidamente illustrato, questo sì - che racconta la storia di quanti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, lasciarono il Nuovo Mondo inseguendo sogni e ispirazioni nel Vecchio Continente. A Parigi, Londra, Roma, certo. Ma anche a Firenze, soprattutto a Firenze, culla del Rinascimento, esplosione di libertà e possibilità che ben si confaceva all'America dell'ottimismo.
E c'era Henry James che scriveva Il carteggio Aspern in una villa incastonata nella collina di Bellosguardo e ambientava a Firenze un pezzo importante delle vicende di Isabel Archer, la giovane americana di Ritratto di Signora. C'era Edith Wharton che alloggiava in un hotel fiorentino e non si stancava mai di frequentare i ricevimenti della buona società. C'era Edward Morgan Forster, che a dire il vero era inglese, ma che con Camera con vista rappresenterà più di ogni altro questo mondo di anglo-americani fiorentinizzati...
Quante pagine, quante storie che raccontano i quadri di Americani a Firenze. La luce mediterranea dei giardini all'italiana - rose, limoni, sempreverdi, statue baciate dal sole - diventerà presto la luce atlantica di Long Island e delle case del New England.
Ma è come se quel ponte tra la mia città e quell'altro continente - il Nuovo Mondo - da allora sia rimasto sempre aperto. Con la forza della cultura a medicare e compensare altre ferite.
Americani a Firenze, inaugurata nei giorni scorsi a Firenze è senz'altro una di queste. Per me, soprattutto per me che non sono un esperto di pittura, assai di più di un'occasione per ammirare i quadri di John Singer Sargent e di altri artisti assai meno conosciuti.
E' come se attraverso quei quadri si potesse sfogliare un libro - splendidamente illustrato, questo sì - che racconta la storia di quanti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, lasciarono il Nuovo Mondo inseguendo sogni e ispirazioni nel Vecchio Continente. A Parigi, Londra, Roma, certo. Ma anche a Firenze, soprattutto a Firenze, culla del Rinascimento, esplosione di libertà e possibilità che ben si confaceva all'America dell'ottimismo.
E c'era Henry James che scriveva Il carteggio Aspern in una villa incastonata nella collina di Bellosguardo e ambientava a Firenze un pezzo importante delle vicende di Isabel Archer, la giovane americana di Ritratto di Signora. C'era Edith Wharton che alloggiava in un hotel fiorentino e non si stancava mai di frequentare i ricevimenti della buona società. C'era Edward Morgan Forster, che a dire il vero era inglese, ma che con Camera con vista rappresenterà più di ogni altro questo mondo di anglo-americani fiorentinizzati...
Quante pagine, quante storie che raccontano i quadri di Americani a Firenze. La luce mediterranea dei giardini all'italiana - rose, limoni, sempreverdi, statue baciate dal sole - diventerà presto la luce atlantica di Long Island e delle case del New England.
Ma è come se quel ponte tra la mia città e quell'altro continente - il Nuovo Mondo - da allora sia rimasto sempre aperto. Con la forza della cultura a medicare e compensare altre ferite.
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