Falliti al principio d'estate i moti anarchici di Spagna a San Lucar de Barramonda e a Cordoba, bandito da tutti gli stati d'Europa, che cominciava ad assestarsi, nemico ormai di quasi tutti i suoi antichi e nuovi compagni, ridotto senza risorse, nell'anno 1873 l'agitatore Michele Bakùnin si trovava rifugiato nella libera Elvezia, a Locarno, alla mercè della grazia di Dio, in cui non credeva.
Comincia così, con queste quattro righe impregnate di utopia e fallimento, un libro da tempo dimenticato ma che meriterebbe recuperare, e con esso la storia che racconta. Il diavolo di Pontelungo, questo il titolo, è opera di Riccardo Bacchelli, lo stesso che ha legato il suo nome al fluviale (proprio il caso di dirlo) Mulino del Po. E' la storia dell'ultima sconclusionata rivolta tentata nei dintorni di Bologna da Bakunin, il grande anarchico, il rivoluzionario ormai segnato da una vita errabonda di disastri e delusioni.
Più ancora che sulla storia il libro vive sull'emozione suscitata da un'idea al tramonto, generosa e sciagurata. Vive delle parabole di quanti a quell'idea si consacrarono, grandezza e miseria, dedizione e scempio. Vive soprattutto del carattere a tutto tondo di Bakunin, il russo che fece tremare i governi del mondo.
Nel libro entra come un pensionato della rivoluzione - uno sconfitto, non diverso in questo dall'Aureliano Buendia di Cent'anni di solitudine.
Materialista come un professore tedesco di quei tempi, fatalista come un russo d'ogni tempo, guardava l'uva trascolorata, il riflesso trascorrente, il cielo cordiale delle affabili alpi ticinesi....
E com'è bella la figura di questo sconfitto che va a cercarsi un'altra sconfitta, come il fiume che cerca il mare. Ci sono personaggi che sono il loro destino e quel destino è croce e delizia, condanna accettata con passo leggero, sogno che non molla.
Comincia così, con queste quattro righe impregnate di utopia e fallimento, un libro da tempo dimenticato ma che meriterebbe recuperare, e con esso la storia che racconta. Il diavolo di Pontelungo, questo il titolo, è opera di Riccardo Bacchelli, lo stesso che ha legato il suo nome al fluviale (proprio il caso di dirlo) Mulino del Po. E' la storia dell'ultima sconclusionata rivolta tentata nei dintorni di Bologna da Bakunin, il grande anarchico, il rivoluzionario ormai segnato da una vita errabonda di disastri e delusioni.
Più ancora che sulla storia il libro vive sull'emozione suscitata da un'idea al tramonto, generosa e sciagurata. Vive delle parabole di quanti a quell'idea si consacrarono, grandezza e miseria, dedizione e scempio. Vive soprattutto del carattere a tutto tondo di Bakunin, il russo che fece tremare i governi del mondo.
Nel libro entra come un pensionato della rivoluzione - uno sconfitto, non diverso in questo dall'Aureliano Buendia di Cent'anni di solitudine.
Materialista come un professore tedesco di quei tempi, fatalista come un russo d'ogni tempo, guardava l'uva trascolorata, il riflesso trascorrente, il cielo cordiale delle affabili alpi ticinesi....
E com'è bella la figura di questo sconfitto che va a cercarsi un'altra sconfitta, come il fiume che cerca il mare. Ci sono personaggi che sono il loro destino e quel destino è croce e delizia, condanna accettata con passo leggero, sogno che non molla.
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