Viviamo nel tempo della cronaca. La cronaca non è più, per noi, uno dei tanti modi di raccontare il tempo presente. E' diventata, invece, il criterio generale del nostro sentimento del tempo.
Un tempo il tempo era diverso: c'era un passato, un presente, un futuro. Per questo sapevamo voltarci indietro e ritrovare radici, identità, esperienze. Per questo potevamo lanciare lo sguardo avanti e coltivare sogni, obiettivi, speranze.
Ma oggi qualcosa si è inceppato, e prima ancora che le dimensioni della crisi (e la sua percezione), questo qualcosa chiama in causa proprio il nostro sentimento del tempo, la nostra capacità di dare una profondità e quindi una prospettiva al tempo.
Così il tempo della storia è diventato il tempo della cronaca: anni che non hanno poco dietro di sé e ancora meno davanti, anni scanditi solo dai delitti, serviti sul piccolo schermo, spettacolarizzati, trasformati in una sorta di reality show.
Tempi anestetizzati, tempi effimeri, tempi di finta autenticità, dove la televisione ti regala il bello della diretta e ti sottrae la possibilità di condividere qualcosa di più di una psicosi collettiva. E il resto sembra solo shopping, o peggio ancora televendita.
Antonio Scurati spreme la desolazione e l'inquietudine del nostro mondo dai tanti casi dilagati nelle cronache più o meno recenti. Ne viene fuori questo Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani): un libro triste, sconsolato, a volte allibito. Un libro orgoglioso, però, anche necessario, come necessari sono i lampi di intelligenza, i sussulti del rigore etico.
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