Per favore, dite a tutti che cosa state leggendo
Questa manciata di parole - preghiera e sconsolata invocazione - è il titolo di un illuminante articolo con cui Stefano Bartezzaghi, sulla cultura di Repubblica di qualche giorno fa, ha affrontato la questione della crisi della lettura nel nostro paese. Che è anche crisi di case editrici e di librerie, anche se la questione, è ovvio, non è solo di conti economici.
E dunque, tra le diverse ragioni finora addotte, mancava questa: la lettura dei libri in Italia è pratica invisibile, privata, relegata a spazi, tempi e circostanze che sfuggono alla percezione generale. Come se fosse un'attività imbarazzante. Come se esigesse riserbo e pudore.
In questo contesto, spiega Bartezzaghi, lasciano il tempo che trovano anche le campagne di promozione della lettura, generiche esortazioni a quanto fa bene leggere, pistolotti morali sulla lettura che rende migliori:
In Italia il libro è perfettamente invisibile fuori dai luoghi in cui lo si vende o lo si promuove. Quando mai un personaggio pubblico è stato fotografato nell'atto di leggerne uno? Quando mai un presidente del Consiglio ha citato un libro, e magari non Pinocchio, Il piccolo Principe o la Bibbia?.... Leggere è da fannulloni e bamboccioni. Bisogna averlo fatto a vent'anni. Finita la formazione, il lavoro non darà mai più modo di aprire un libro: purtroppo.
Siamo messi male, davvero, se leggere può essere qualcosa di cui vergognarsi. Se è cosa da fare solo dopo essersi chiusi una porta alle spalle, magari a chiave. Nemmeno si andasse in bagno.
Forse non sarà così. Ma ogni libro la cui lettura ci godiamo sul bus o su una panchina, ogni libro di cui sfrontatamente parliamo, sa comunque di piccola grande vittoria.
Questa manciata di parole - preghiera e sconsolata invocazione - è il titolo di un illuminante articolo con cui Stefano Bartezzaghi, sulla cultura di Repubblica di qualche giorno fa, ha affrontato la questione della crisi della lettura nel nostro paese. Che è anche crisi di case editrici e di librerie, anche se la questione, è ovvio, non è solo di conti economici.
E dunque, tra le diverse ragioni finora addotte, mancava questa: la lettura dei libri in Italia è pratica invisibile, privata, relegata a spazi, tempi e circostanze che sfuggono alla percezione generale. Come se fosse un'attività imbarazzante. Come se esigesse riserbo e pudore.
In questo contesto, spiega Bartezzaghi, lasciano il tempo che trovano anche le campagne di promozione della lettura, generiche esortazioni a quanto fa bene leggere, pistolotti morali sulla lettura che rende migliori:
In Italia il libro è perfettamente invisibile fuori dai luoghi in cui lo si vende o lo si promuove. Quando mai un personaggio pubblico è stato fotografato nell'atto di leggerne uno? Quando mai un presidente del Consiglio ha citato un libro, e magari non Pinocchio, Il piccolo Principe o la Bibbia?.... Leggere è da fannulloni e bamboccioni. Bisogna averlo fatto a vent'anni. Finita la formazione, il lavoro non darà mai più modo di aprire un libro: purtroppo.
Siamo messi male, davvero, se leggere può essere qualcosa di cui vergognarsi. Se è cosa da fare solo dopo essersi chiusi una porta alle spalle, magari a chiave. Nemmeno si andasse in bagno.
Forse non sarà così. Ma ogni libro la cui lettura ci godiamo sul bus o su una panchina, ogni libro di cui sfrontatamente parliamo, sa comunque di piccola grande vittoria.
Da grande lettrice quale sono (vizio che, fortunatamente o no, ho trasmesso a mia figlia) non posso che concordare.
RispondiEliminaE è davvero triste che l'Italia sia ridotta come hai descritto bene tu.
Buona serata,
Lara