Ritorno spesso a Mompracem, quando posso, quando voglio.
Ogni volta che mi dicono che non c’è, che non è mai esistita, mi piacerebbe avere tra le mani qualche vecchia mappa del Mar Cinese. Mompracem c’era, al largo della costa occidentale del Borneo, anche se per qualcuno era Mon Pracem, o piuttosto Monpiacem. Ancora gli atlanti della prima metà dell’Ottocento la riportavano. Poi scomparve, ma si sa, queste cose succedono.
Per me c’è ancora, c’è almeno da quella notte di tempesta del 20 dicembre 1849, con cui Emilio per la prima volta mi prese per mano e mi portò dentro la storia di Sandokan e di Yanez, di James Brooke e di Marianna.
Quando sento che si avvicina una tempesta di incredulità, quando i venti dell’età troppo adulta cominciano a spazzare la tolda della mia nave, quando ancora il cielo è spezzato dai fulmini del più crudo realismo, Mompracem mi aspetta.
A volte mi capita anche di appellarmi a un’altra isola che non c’è, quella di Peter Pan. E mi sorprendo a canticchiare, stonato come sono, la canzone di Edoardo Bennato: seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è... ma questo per dire, perché quella che conta per me è solo Mompracem.
Le cose ora ci sono e ora no. O prima non ci sono e poi sì. Cosa che anche Odoardo sa bene, lui che una volta scavalcò una catena di monti e fu il primo a imbattersi in un fiume più grande del Tevere e del Tamigi, solo che vicino al mare si imbucava per gettarsi in una cascata tra le rocce.
Io so perfino che Mompracem c’è e ci sarà finché mi terrò stretto le parole.
(Da Paolo Ciampi, I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)
Ogni volta che mi dicono che non c’è, che non è mai esistita, mi piacerebbe avere tra le mani qualche vecchia mappa del Mar Cinese. Mompracem c’era, al largo della costa occidentale del Borneo, anche se per qualcuno era Mon Pracem, o piuttosto Monpiacem. Ancora gli atlanti della prima metà dell’Ottocento la riportavano. Poi scomparve, ma si sa, queste cose succedono.
Per me c’è ancora, c’è almeno da quella notte di tempesta del 20 dicembre 1849, con cui Emilio per la prima volta mi prese per mano e mi portò dentro la storia di Sandokan e di Yanez, di James Brooke e di Marianna.
Quando sento che si avvicina una tempesta di incredulità, quando i venti dell’età troppo adulta cominciano a spazzare la tolda della mia nave, quando ancora il cielo è spezzato dai fulmini del più crudo realismo, Mompracem mi aspetta.
A volte mi capita anche di appellarmi a un’altra isola che non c’è, quella di Peter Pan. E mi sorprendo a canticchiare, stonato come sono, la canzone di Edoardo Bennato: seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è... ma questo per dire, perché quella che conta per me è solo Mompracem.
Le cose ora ci sono e ora no. O prima non ci sono e poi sì. Cosa che anche Odoardo sa bene, lui che una volta scavalcò una catena di monti e fu il primo a imbattersi in un fiume più grande del Tevere e del Tamigi, solo che vicino al mare si imbucava per gettarsi in una cascata tra le rocce.
Io so perfino che Mompracem c’è e ci sarà finché mi terrò stretto le parole.
(Da Paolo Ciampi, I due viaggiatori, Mauro Pagliai editore)
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