L'uccisore e l'ucciso si tengono, per lo meno, compagnia, in
un mondo che essi stessi hanno creato. Ma qui si affronta il disprezzo
immenso di monti, preoccupati soltanto dei loro casi; poiché tra il
gelo, la neve e le acque sotterranee, i monti sono sempre affaccendati
Non sapevo che Rudyard Kipling, nel suo molto vagabondare per il mondo, tra l'India e l'Inghilterra, avesse anche avuto il modo di raccontare la Grande Guerra sul fronte italiano. Lo scopro grazie a La guerra nelle montagne pubblicato qualche anno fa da Passigli, che riporta le sue "impressioni" di corrispondente di guerra.
E' il 1917, qualche tempo prima della rotta di Caporetto. Kipling è a tutti gli effetti un inviato di guerra e anche quello che oggi si direbbe un giornalista "embedded", al seguito di un esercito. E di questo il suo reportage porta tutti i limiti: non sembra nemmeno lo stesso uomo che qualche tempo prima, sul fronte occidentale, ha perso il suo unico figlio maschio, lutto che gli ha scavato dentro un abisso di sofferenza.
C'è propaganda, c'è retorica, in queste pagine, come quando il povero fante romano è paragonato al legionario romano. O come quando di lui si afferma che se ne sta sotto le granate con la stessa quiete di un inglese al caminetto.
Eppure anche qui di tanto in tanto si fa largo la grandezza di uno scrittore che non dovrebbe mai mancare nelle nostre librerie. E riprende il suo posto l'uomo che sa interrogarsi e misurare l'insensatezza dell'uomo, magari al cospetto delle montagne che sembrano ridicolizzarci con un silenzio che durerà più della nostra follia.
Non sapevo che Rudyard Kipling, nel suo molto vagabondare per il mondo, tra l'India e l'Inghilterra, avesse anche avuto il modo di raccontare la Grande Guerra sul fronte italiano. Lo scopro grazie a La guerra nelle montagne pubblicato qualche anno fa da Passigli, che riporta le sue "impressioni" di corrispondente di guerra.
E' il 1917, qualche tempo prima della rotta di Caporetto. Kipling è a tutti gli effetti un inviato di guerra e anche quello che oggi si direbbe un giornalista "embedded", al seguito di un esercito. E di questo il suo reportage porta tutti i limiti: non sembra nemmeno lo stesso uomo che qualche tempo prima, sul fronte occidentale, ha perso il suo unico figlio maschio, lutto che gli ha scavato dentro un abisso di sofferenza.
C'è propaganda, c'è retorica, in queste pagine, come quando il povero fante romano è paragonato al legionario romano. O come quando di lui si afferma che se ne sta sotto le granate con la stessa quiete di un inglese al caminetto.
Eppure anche qui di tanto in tanto si fa largo la grandezza di uno scrittore che non dovrebbe mai mancare nelle nostre librerie. E riprende il suo posto l'uomo che sa interrogarsi e misurare l'insensatezza dell'uomo, magari al cospetto delle montagne che sembrano ridicolizzarci con un silenzio che durerà più della nostra follia.
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