Albert Cossery era uno convinto che la sua missione di scrittore
fosse di fare in modo che chi leggeva un suo libro il giorno dopo non
andasse a lavorare. Era una delle sue battute più celebri, però sono
convinto che alla parola missione in realtà fosse allergico. Meglio, molto
meglio, rigirarsi dall'altro lato del letto.
Albert Cossery in primo luogo era un disertore della vita, un pigro assolutamente convinto delle ragioni del non far niente.
In realtà qualcosa fece, nella sua vita: pochi libriccini distillati goccia a goccia, cioé parola su parola, riga su riga. Capolavori che ai tempi colsero di sorpresa personaggi del calibro di Albert Camus e Henry Miller e di cui ancora oggi dobbiamo essergli grati.
Gli uomini dimenticati da Dio (Bur editore) per me è stato il primo: una rivelazione.
Cinque racconti, cinque storie di bellezza trattenuta e sconcertante che fiorisce nei quartieri più miserabili del Cairo, tra l'umanità più malridotta e abbandonata a se stessa.
Dimenticavo, anche questo non me l'aspettavo, beata ignoranza: Cossery era egiziano (e questo libro è stato pubblicato per la prima volta proprio nella capitale egiziana, nel 1941). Voce dissonante, singolare, spiazzante di una letteratura che ha sempre avuto in serbo molte più sorprese di quanto abbiamo saputo riconoscere.
Il Cairo di Cossery, con le sue storie che si snodano tra via della Donna incinta e il sentiero dei Ladri, non è il Cairo di un altro grande egiziano come Nagib Mahfuz, con libri come Vicolo del mortaio.
Qui non c'è colore, non ci sono radici, forse non c'è nemmeno storia. Questi uomini dimenticati da Dio potrebbero appartenere al mondo intero, o più precisamente, essere profughi cacciati dal mondo intero, apolidi della speranza, esuli di una realtà da cui ci si difende solo con il sonno o con l'hashish.
Dimenticati da Dio: condannati senza nessuna possibilità di clemenza o di riscatto.
O forse sì, con un'unica possibilità, la grazia della parola quale quella che Cossery ci ha saputo offrire.
Albert Cossery in primo luogo era un disertore della vita, un pigro assolutamente convinto delle ragioni del non far niente.
In realtà qualcosa fece, nella sua vita: pochi libriccini distillati goccia a goccia, cioé parola su parola, riga su riga. Capolavori che ai tempi colsero di sorpresa personaggi del calibro di Albert Camus e Henry Miller e di cui ancora oggi dobbiamo essergli grati.
Gli uomini dimenticati da Dio (Bur editore) per me è stato il primo: una rivelazione.
Cinque racconti, cinque storie di bellezza trattenuta e sconcertante che fiorisce nei quartieri più miserabili del Cairo, tra l'umanità più malridotta e abbandonata a se stessa.
Dimenticavo, anche questo non me l'aspettavo, beata ignoranza: Cossery era egiziano (e questo libro è stato pubblicato per la prima volta proprio nella capitale egiziana, nel 1941). Voce dissonante, singolare, spiazzante di una letteratura che ha sempre avuto in serbo molte più sorprese di quanto abbiamo saputo riconoscere.
Il Cairo di Cossery, con le sue storie che si snodano tra via della Donna incinta e il sentiero dei Ladri, non è il Cairo di un altro grande egiziano come Nagib Mahfuz, con libri come Vicolo del mortaio.
Qui non c'è colore, non ci sono radici, forse non c'è nemmeno storia. Questi uomini dimenticati da Dio potrebbero appartenere al mondo intero, o più precisamente, essere profughi cacciati dal mondo intero, apolidi della speranza, esuli di una realtà da cui ci si difende solo con il sonno o con l'hashish.
Dimenticati da Dio: condannati senza nessuna possibilità di clemenza o di riscatto.
O forse sì, con un'unica possibilità, la grazia della parola quale quella che Cossery ci ha saputo offrire.
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