Mi
sembra un sogno, ancora un sogno, che proprio io, Beatrice Bugelli, la
pastora, abbia cantato in piazze gremite, che signori e letterati se
ne siano rimasti a pendere dalle mie labbra. Ma questo gliel’ho già
detto.
L’altro
giorno mi son destata con questo pensiero: fossi stata sempre muta, a
questo punto la mia sorte non sarebbe diversa. E di me non serberà
comunque memoria il tempo.
Non fosse per persone importanti come lei, tutto quanto ho vissuto e fatto mi parrebbe una fantasia.
E
io lo so, professore, che vorrebbe farmi una domanda che più o meno
suona così: vale davvero qualcosa, la poesia, se non può essere
ricordata?
Vale la pena?
E a me vien da risponderle così, professore, per come la intendo io.
Le
rispondo che la poesia è come le sere quando fuori nevica e in casa
c’è il paiolo sul fuoco, il legno brucia e scoppietta, il fumo sale e
per un po’ tutto tace e per aria si spande una quiete che è un miracolo.
E che allo stesso tempo è una folata, è vento di tramontana, solo che
non è gelido, piuttosto caldo come un tizzone.
Le
rispondo che la poesia è acqua fresca che scaturisce dalla roccia e ci
disseta, che è ninna nanna con cui si appisola beato quell’unico paese
tutto nostro che è il cuore. Ed è il placido conversare di fanciulle
al fresco di una sera d’estate, quando si vagheggia di amori che non si
vedono ma si portano nel cuore.
Io
non so cosa si provi a lasciarle scritte, le parole, non so nemmeno
cosa siano davvero quelle formichine nere che le persone istruite
lasciano sui fogli.
Le parole mi scorrono dentro, libere, mi attraversano e mi prendono.
Sono sangue, sono vita. In esse, professore, mi c’interno. E con esse ritorno fuori e abbraccio il mondo.
Non
sono rincitrullita e lo so che le parole scritte resteranno scritte in
eterno, e che le mie parole, invece, sono come nebbia nel vento che
scappa, sono fumo che sale al cielo.
Ma la parola detta, la parola cantata, è bella perché è unica, perché è tutta piena di melodia.
E questa melodia conta più di me e persino più di lei, professore.
Perché la bellezza è fiore che sfiorisce e poi ritorna.
Perché
la poesia è bellezza e la bellezza dura per sempre, anche quando
sparisce. Perché è gioia che rimane, splendore che aumenta. E se gli
altri se ne scorderanno alla svelta, noi le troveremo sempre un
posticino indisturbato, come una pietra preziosa in uno scrigno.
E sarà dolce sogno, carezza di ricordo, salvezza.
Dove sono allora i canti della mia giovinezza?
Vorrei illudermi, dire che sono un’eco che vibra ancora su questi nostri monti. Magari è davvero così.
Perché questi versi sono i fiori incolti di questa terra.
Fiori che nascono e muoiono senza che nessuno debba curarsene.
Muoiono ma la primavera dopo sono di nuovo qui a rallegrarti.
(da Paolo Ciampi, Beatrice, Sarnus edizioni)
(da Paolo Ciampi, Beatrice, Sarnus edizioni)
Nessun commento:
Posta un commento