Se Chatwin avesse avuto la tua stessa apertura mentale, non
avrebbe mai scritto una riga. Sarebbe rimasto direttamente a bere birra
al pub sotto casa
Quanto ad apertura mentale, invece, Enrico Brizzi non dovrebbe davvero lamentarsi. In Nessuno lo saprà - 420 pagine e quasi altrettanti chilometri di faticoso camminare - ci dimostra che si può fare un grande viaggio anche senza puntare all'"altrove" della Mongolia o della Namibia, perché c'è un "altrove" anche dietro l'uscio di casa, fatto di sentieri poco battuti, borghi medievali dimenticati, pascoli in altura e paesini con un bar e poc'altro.
La montagna che non ha nemmeno i titoli di nobiltà che spettano alle Alpi, perché di Appennino si tratta.
Un viaggio a piedi dal Tirreno all'Adriatico, vesciche ai piedi e chiacchiere nel silenzio.
Il passo del pellegrino, la suggestione del trekking, il tempo che diventa esplorazione della natura ma anche di se stessi.
Poi un cambio di marcia quasi inatteso, quando si aggiungono altri compagni di spedizione. Allora il pellegrinaggio diventa qualcosa di assai prossimo al Marrakesh Espress di Salvatores, tanto per intendersi: e c'è la crisi generazionale, l'amicizia che affonda in altre vite e si fa nostalgia ma anche sindrome di Peter Pan.
C'è perfino l'esperienza del qat, le foglie "euforizzanti" che accompagneranno un bel po' di tappe, ci sono le due ragazze incrociate per strada che finiranno per portare via anche le carte di credito, c'è l'amico di sempre, detto il Viet, che vorrebbe solo suonare la batteria e non avere mai più una fidanzata farmacista.
E diventa un'altra cosa, certo, ma il viaggio può essere anche questo. E può diventare anche un libro come questo, capace di regalarti pure una bella dose di buon umore.
Tanto che alla fine perdoni pure quella scelta, faticosa, ma faticosa davvero, più del sentiero appenninico, di scrivere tutto il libro in seconda persona. Cosa che in passato avevo trovato solo in Rex Stout. Che era Rex Stout, appunto.
Quanto ad apertura mentale, invece, Enrico Brizzi non dovrebbe davvero lamentarsi. In Nessuno lo saprà - 420 pagine e quasi altrettanti chilometri di faticoso camminare - ci dimostra che si può fare un grande viaggio anche senza puntare all'"altrove" della Mongolia o della Namibia, perché c'è un "altrove" anche dietro l'uscio di casa, fatto di sentieri poco battuti, borghi medievali dimenticati, pascoli in altura e paesini con un bar e poc'altro.
La montagna che non ha nemmeno i titoli di nobiltà che spettano alle Alpi, perché di Appennino si tratta.
Un viaggio a piedi dal Tirreno all'Adriatico, vesciche ai piedi e chiacchiere nel silenzio.
Il passo del pellegrino, la suggestione del trekking, il tempo che diventa esplorazione della natura ma anche di se stessi.
Poi un cambio di marcia quasi inatteso, quando si aggiungono altri compagni di spedizione. Allora il pellegrinaggio diventa qualcosa di assai prossimo al Marrakesh Espress di Salvatores, tanto per intendersi: e c'è la crisi generazionale, l'amicizia che affonda in altre vite e si fa nostalgia ma anche sindrome di Peter Pan.
C'è perfino l'esperienza del qat, le foglie "euforizzanti" che accompagneranno un bel po' di tappe, ci sono le due ragazze incrociate per strada che finiranno per portare via anche le carte di credito, c'è l'amico di sempre, detto il Viet, che vorrebbe solo suonare la batteria e non avere mai più una fidanzata farmacista.
E diventa un'altra cosa, certo, ma il viaggio può essere anche questo. E può diventare anche un libro come questo, capace di regalarti pure una bella dose di buon umore.
Tanto che alla fine perdoni pure quella scelta, faticosa, ma faticosa davvero, più del sentiero appenninico, di scrivere tutto il libro in seconda persona. Cosa che in passato avevo trovato solo in Rex Stout. Che era Rex Stout, appunto.
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