Il concerto sta per finire. E ci voleva davvero, un bel concerto.
Con che occhi che ora mi guardo intorno. Mi piacerebbe perfino
attaccare discorso con qualcuno. Chiacchierare, bere qualcosa,
chiacchierare ancora. Non lo farò, mi conosco. O forse sì, chissà.
Quello che so è che domani mattina partirò per il mare. Mi
attende una settimana scarsa di ferie che penso di essermi meritato.
Saranno le prime vacanze in cui dovrò fare a meno delle
telefonate di mia madre, di quegli squilli che mi coglievano sempre
nei momenti meno opportuni.
E lo so che succederà. Sarà magari quando rientrerò nella
camera di albergo per fare la doccia e prepararmi per la cena, oppure
più tardi, quando uscirò per una passeggiata-boccata d’aria-gelato.
Sarò presto di ritorno, in ogni caso, perché in vacanza non ho
mai fatto le ore piccole, mi piace tirare tardi solo con i miei
amici, nella mia città, nel mio quartiere, nel mio locale, vai a
capire perché, e insomma, sarò di ritorno presto e poi non mi
rimarrà altro che un libro, o un po’ di televisione per non
perdere l’abitudine.
Solo un attimo prima di spegnere la luce del comodino mi folgorerà
un pensiero: «Mia madre oggi non ha telefonato». E qualcosa
cambierà, nell’andamento lento di una sera di vacanza.
Lo so, il tempo delle sorprese sarà ancora inevitabilmente lungo.
Succederà anche la prossima primavera, quando mi ritroverò con le
cesoie davanti alle sue ortensie e la vorrò accanto per sciogliere
un dubbio che da solo non ho mai risolto: che faccio, poto?
È così, la morte è in primo luogo una fuga di gesti, di
abitudini, di situazioni. Per questo ce ne accorgiamo poco a poco.
Una persona che ti lascia è più o meno come il personaggio di un
libro: il libro finisce, ma non è che il personaggio ci muoia dentro
una volta che giriamo l’ultima pagina.
(da Paolo Ciampi, Una domenica come le altre, Mauro Pagliai editore)
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