DI FUTURO parlano tutti. Che non è più quello di una volta, che non c'è
eppure è lì che stiamo andando ma insomma poi di cosa parliamo davvero
quando diciamo: futuro? Parliamo di dieci milioni e duecentomila
persone, in concreto. Persone piccole, che hanno meno di dieci anni, e
persone giovani, che ne hanno meno di 18.
Comincia così l'articolo - che tutti noi dovremmo leggere e utilizzare come motivo di riflessione - pubblicato qualche giorno fa su La Repubblica da Concita De Gregorio, con un titolo che più che un auspicio deve essere una dichiarazione di impegno per tutti noi: Più libri meno cellulari per salvare i nostri figli.
Futuro, dunque. Però è davvero difficile parlare di futuro se nei più aggiornati rapporti statistici molti di coloro che sono già il presente, ma ancora di più saranno il futuro (e il futuro del nostro paese) possono essere classificati con una delle espressioni più desolanti che esistano: disconnessi culturali.
Si parla insomma di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi sotto i 18 anni che non hanno mai letto un libro, non sono mai andati al cinema, non hanno mai aperto un giornale. Quasi la metà non legge libri, moltissimi però hanno il cellulare. Quale futuro, in queste condizioni?
Sapete, è molto singolare: l'altro giorno invece che abbattermi di fronte a cifre così spietate nella loro evidenza per un attimo mi sono lasciato attraversare da un irragionevole ottimismo.
Mi è venuto in mente che allora è proprio per questo che tanti di noi si ostinano a non rassegnarsi: esattamente perchè sul tappeto c'è una questione di futuro.
Ed è esattamente per questo che firmiamo appelli per salvare librerie che tirano giù il bandone, che acquistiamo libri di piccole case editrici ignorate dalla grande distribuzione, che magari proviamo a organizzare incontri e presentazioni in periferie disertate dalla cultura, dove al massimo si gioca a briscola e si guarda la Champions in tv.
E se necessario, magari regaliamo un libro piuttosto che un Nintendo. Esattamente per questo. Mica poco. Magari un legislatore o un ministro un giorno finirà addirittura per accorgersene.
Comincia così l'articolo - che tutti noi dovremmo leggere e utilizzare come motivo di riflessione - pubblicato qualche giorno fa su La Repubblica da Concita De Gregorio, con un titolo che più che un auspicio deve essere una dichiarazione di impegno per tutti noi: Più libri meno cellulari per salvare i nostri figli.
Futuro, dunque. Però è davvero difficile parlare di futuro se nei più aggiornati rapporti statistici molti di coloro che sono già il presente, ma ancora di più saranno il futuro (e il futuro del nostro paese) possono essere classificati con una delle espressioni più desolanti che esistano: disconnessi culturali.
Si parla insomma di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi sotto i 18 anni che non hanno mai letto un libro, non sono mai andati al cinema, non hanno mai aperto un giornale. Quasi la metà non legge libri, moltissimi però hanno il cellulare. Quale futuro, in queste condizioni?
Sapete, è molto singolare: l'altro giorno invece che abbattermi di fronte a cifre così spietate nella loro evidenza per un attimo mi sono lasciato attraversare da un irragionevole ottimismo.
Mi è venuto in mente che allora è proprio per questo che tanti di noi si ostinano a non rassegnarsi: esattamente perchè sul tappeto c'è una questione di futuro.
Ed è esattamente per questo che firmiamo appelli per salvare librerie che tirano giù il bandone, che acquistiamo libri di piccole case editrici ignorate dalla grande distribuzione, che magari proviamo a organizzare incontri e presentazioni in periferie disertate dalla cultura, dove al massimo si gioca a briscola e si guarda la Champions in tv.
E se necessario, magari regaliamo un libro piuttosto che un Nintendo. Esattamente per questo. Mica poco. Magari un legislatore o un ministro un giorno finirà addirittura per accorgersene.
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