Velocipedisti cosmopoliti? Questa
qui i fiorentini proprio non l'avevano mai sentita. Alla prima
nemmeno l'avevano capita. I più avevano dovuto leggersi di nuovo gli
avvisi che facevano bella vista dai 27 chioschi – anzi, kiosques,
come si scriveva allora – per la vendita dei giornali.
Per dire,
anche quelle erano una novità, che il Comune aveva autorizzato al
signor Oblieght a partire dal primo gennaio 1870. Solo che le edicole
erano sotto gli occhi, si potevano toccare con mano. Rendevano
perfino più bella la città, con la loro pianta ottagonale, il tetto
a cupola sovrastato da un giglio, i vetri trasparenti che
consentivano di leggere gli annunci anche con la luce artificiale –
anzi, al chiarore del
gaz,
come si diceva allora.
Però questa
storia della corsa dei velocipedi si faceva davvero fatica a
comprenderla. Eh sì che di cose strampalate se ne sentivano ogni
giorno. A Firenze più che altrove, a dire il vero, come c'era da
aspettarsi da una capitale. Capitale provvisoria,
certo, ma provvisoria ormai da cinque anni, perché si sa, in Italia
dura più a lungo proprio ciò che è provvisorio.
E una
capitale sono le leggi, i dibattiti parlamentari, le cerimonie
pubbliche, ma anche i salotti, i pettegolezzi, i fatti della moda e
le ultime invenzioni. Chiaro, che tutto stesse cambiando, da quando
la corte e i ministri avevano lasciato Torino per Firenze. Chiaro,
che qui capitassero cose che da altre parti nemmeno subodoravano.
Si era
ingrandita, Firenze, aveva ormai toccato i 200 mila abitanti. E si
spendeva, per Firenze, per farne una città più bella e moderna,
malgrado la dichiarata economia
all'osso del
governo. Avevano abbattuto le mura, aperto viali, tirato su nuovi
quartieri residenziali. Non che tutto fosse andato per il verso
giusto, ma per i rimpianti ci sarebbe stato tempo. Ora era il tempo
di guardare a Londra, a Parigi: imparare da loro, se non fare meglio.
Ma che era
questa storia della corsa? Con quei velocipedi, poi, che gli avvisi salutavano addirittura come la cavalcatura
dell'avvenire?
Quella
cavalcatura i fiorentini avevano avuto modo di scorgerla all'opera
per la prima volta solo da poco tempo. Per di più grazie
all'intraprendenza di un francese.
Era successo
il 9 settembre 1869. La Nazione
-
il quotidiano che Bettino Ricasoli si era inventato nello spazio di
una notte ai tempi in cui la Toscana era ancora Granducato - la cosa
l'aveva riportata con grande evidenza:
Dal giorno di mercoledì scorso, si è
veduto circolare, nelle vie della nostra città e alle Cascine, il
velocipede a due ruote, istrumento molto sparso in Francia ed in
Inghilterra, ma che noi non conoscevamo ancora.
Il signor Favre, fabbricante a Voiron
(Isère), vi saliva sopra da sé, correndo con straordinaria
velocità: egli si è recato a Firenze con l'intenzione di mettere un
deposito di questi velocipedi al Bazar Europeo.
Meraviglia,
quell'istrumento...
Una persona ci poteva perfino salire sopra da sé! E quindi correre
con straordinaria
velocità!
E la
meraviglia del cronista era stata ovviamente anche la meraviglia di
tutta Firenze.
Per dire,
Carlo Lorenzini, che tutti conoscono come il Collodi di Pinocchio e
assai meno come un cronista di razza, ci aveva anche ragionato sopra.
A suo parere, la città da tempo immemorabile si divideva in due sole
classi, i fiorentini che andavano in carrozza e i fiorentini che
andavano a piedi:
Quelli che andavano in carrozza si
chiamavano “Signori”, e quelli che andavano a piedi erano detti
“Pedoni”, nome inelegante, ma molto espressivo, come quello che
ti dava subito l'immagine vera di quei poveri palmipedi vestiti da
uomo, condannati a camminare a piedi tutta la vita
La classe dei
velocipedisti,
insomma, nemmeno
esisteva. Era lo spettro che si aggirava per l'Europa senza nemmeno
annunciare la sua rivoluzione. Era avanguardia senza masse dietro.
Chissà come
sarebbe finita, con questo pugno di bizzarri sognatori, con questa
gente che faceva forza sui pedali e ingoiava la polvere di strade
senza asfalto. E che di tutto questo sembrava perfino contenta.
(da Paolo Ciampi, La prima corsa, Mauro Pagliai editore)
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