Annunzio quindi solennemente alla Camera che posseggo dichiarazioni di testimoni, superiori a qualsiasi eccezione, le quali dichiarazioni sono a carico di un deputato nostro collega, e si riferiscono a lucri che avrebbe percepito nelle contrattazione della Regìa dei tabacchi...
Erano gli anni di Firenze capitale e Cristiano Lobbia, deputato garibaldino, prese la parola nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio - allora sede della Camera - per puntare l'indice contro chi si era illecitamente arricchito votando una legge sulla privatizzazione dei tabacchi. Era il primo grande scandalo del neonato Stato italiano ed era evidente che di zuccherini - come allora si chiamavano le tangenti - ne erano circolate a iosa. Ma eravamo all'inizio: e nessuno avrebbe mai potuto sospettare che a rovinarsi sarebbe stato proprio il grande accusatore, pronunciando in aula quelle parole.
Qualche giorno più tardi provarono ad ammazzarlo per strada, in via dell'Amorino. E siccome non ci riuscirono misero in moto la macchina del fango - come tante altre volte dopo. Però con Cristiano Lobbia furono particolarmente fantasiosi: e si spinsero fino a farlo condannare a un anno di prigione per simulazione di reato. Come se quella notte si fosse aggredito da solo e da solo si fosse aggredito.
La gente comune non ebbe mai dubbi sul povero Lobbia. E se oggi il suo cognome indica un cappello è perché così lo cominciarono a chiamare i cappellai di Firenze nei giorni successivi all'aggressione (e andò a ruba, la lobbia). Perché il deputato fosse riabilitato la strada fu invece molto lunga: ci si arrivò soltanto quando lo scandalo fu definitivamente sedato - grazie anche alla provvidenziale morte di cinque testimoni - e quando Lobbia era ormai finito come politico e anche come uomo.
E' una storia maledettamente italiana quella che disseppellisce Gian Antonio Stella con I misteri di via dell'Amorino (Rizzoli). Una storia che ci racconta perfino con un eccesso di documentazione e di citazioni, invece di dare via libera alla sua penna e alla sua indignazione.
Ma i fatti sanno parlare da soli. E raccontano tutto dell'Italia di oggi, guardando indietro, a cosa successe quasi un secolo e mezzo fa, sulle sponde dell'Arno.
Erano gli anni di Firenze capitale e Cristiano Lobbia, deputato garibaldino, prese la parola nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio - allora sede della Camera - per puntare l'indice contro chi si era illecitamente arricchito votando una legge sulla privatizzazione dei tabacchi. Era il primo grande scandalo del neonato Stato italiano ed era evidente che di zuccherini - come allora si chiamavano le tangenti - ne erano circolate a iosa. Ma eravamo all'inizio: e nessuno avrebbe mai potuto sospettare che a rovinarsi sarebbe stato proprio il grande accusatore, pronunciando in aula quelle parole.
Qualche giorno più tardi provarono ad ammazzarlo per strada, in via dell'Amorino. E siccome non ci riuscirono misero in moto la macchina del fango - come tante altre volte dopo. Però con Cristiano Lobbia furono particolarmente fantasiosi: e si spinsero fino a farlo condannare a un anno di prigione per simulazione di reato. Come se quella notte si fosse aggredito da solo e da solo si fosse aggredito.
La gente comune non ebbe mai dubbi sul povero Lobbia. E se oggi il suo cognome indica un cappello è perché così lo cominciarono a chiamare i cappellai di Firenze nei giorni successivi all'aggressione (e andò a ruba, la lobbia). Perché il deputato fosse riabilitato la strada fu invece molto lunga: ci si arrivò soltanto quando lo scandalo fu definitivamente sedato - grazie anche alla provvidenziale morte di cinque testimoni - e quando Lobbia era ormai finito come politico e anche come uomo.
E' una storia maledettamente italiana quella che disseppellisce Gian Antonio Stella con I misteri di via dell'Amorino (Rizzoli). Una storia che ci racconta perfino con un eccesso di documentazione e di citazioni, invece di dare via libera alla sua penna e alla sua indignazione.
Ma i fatti sanno parlare da soli. E raccontano tutto dell'Italia di oggi, guardando indietro, a cosa successe quasi un secolo e mezzo fa, sulle sponde dell'Arno.
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