Pensare, ricordare, vagabondare e mettere tutto in relazione: i segni della realtà esteriore con le storie piccole e grandi del mondo.
Eccola qui, la nuova frontiera della scrittura, forse capace di salvarci dal respiro corto di una narrativa in crisi e di andare oltre confini che prima sembravano invalicabili. Invenzione, trame, personaggi che vivono sola sulla carta? Piuttosto è il tempo della verità che si fa largo tra le pagine, con esperienze vissute e cammini intrapresi. E di scritture che sanno mettere insieme saggistica e narrativa, autobiografia e riflessione, viaggio, anche senza meta, ed esplorazione nella biblioteca universale.
Ma soprattutto non c'è più bisogno di una storia compiuta, con suo inizio e un suo epilogo, di un intreccio che si scioglie, di un enigma che si rivela, dell'ultima tessera che va al suo posto. Perché non è così la vita., che semmai è peregrinare, è istinto e casualità.
Di tutto questo si parla - molto bene - in un paginone centrale di Repubblica di qualche giorno fa, a firma di Cristiano De Majo, Scritture vagabonde. Addio trame, la letteratura diventa arte della divagazione.
Divagazione per cui sono indicati padri nobili quali il Montaigne dei Saggi e il Rousseau delle Fantasticherie del passaggiatore solitario (nell'elenco manca, mi pare, il grande Laurence Sterne), per arrivare ai nostri tempi con un grande come Sebald. E si racconta in particolare di un libro, The Faraway Nearby ("la lontana vicinanza") di Rebecca Solnit (credo non ancora tradotto in Italia), libro che è un flusso di pensieri, riflessioni, racconti, esperienze in cui ogni molecola d'acqua è collegata all'altra dando forma a un insieme che fa perdere le tracce dei singoli componenti. Libro da cui è prelevata questa frase:
La materia di una storia è come acqua raccolta dal mare in un bicchiere e poi di nuovo restituita al mare.
Che è esattamente ciò che penso e che vorrei tradurre nelle mie pagine.
Eccola qui, la nuova frontiera della scrittura, forse capace di salvarci dal respiro corto di una narrativa in crisi e di andare oltre confini che prima sembravano invalicabili. Invenzione, trame, personaggi che vivono sola sulla carta? Piuttosto è il tempo della verità che si fa largo tra le pagine, con esperienze vissute e cammini intrapresi. E di scritture che sanno mettere insieme saggistica e narrativa, autobiografia e riflessione, viaggio, anche senza meta, ed esplorazione nella biblioteca universale.
Ma soprattutto non c'è più bisogno di una storia compiuta, con suo inizio e un suo epilogo, di un intreccio che si scioglie, di un enigma che si rivela, dell'ultima tessera che va al suo posto. Perché non è così la vita., che semmai è peregrinare, è istinto e casualità.
Di tutto questo si parla - molto bene - in un paginone centrale di Repubblica di qualche giorno fa, a firma di Cristiano De Majo, Scritture vagabonde. Addio trame, la letteratura diventa arte della divagazione.
Divagazione per cui sono indicati padri nobili quali il Montaigne dei Saggi e il Rousseau delle Fantasticherie del passaggiatore solitario (nell'elenco manca, mi pare, il grande Laurence Sterne), per arrivare ai nostri tempi con un grande come Sebald. E si racconta in particolare di un libro, The Faraway Nearby ("la lontana vicinanza") di Rebecca Solnit (credo non ancora tradotto in Italia), libro che è un flusso di pensieri, riflessioni, racconti, esperienze in cui ogni molecola d'acqua è collegata all'altra dando forma a un insieme che fa perdere le tracce dei singoli componenti. Libro da cui è prelevata questa frase:
La materia di una storia è come acqua raccolta dal mare in un bicchiere e poi di nuovo restituita al mare.
Che è esattamente ciò che penso e che vorrei tradurre nelle mie pagine.
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