Singolare natura quella di quest'uomo. Si muoveva in maniera permanente in uno stato emotivo che andava dall'eroico al romantico, che straripava generosamente oltre i limiti dell'ordinario, del comune, della legalità, dell'ordine costituito. Non avrebbe mai potuto capire che cosa sono le imposte, le multe, i regolamenti, gli ordini, le patenti, le leggi, le proprietà. La società, che si fonda su questi principi, si sarebbe difesa con le unghie e con i denti da questo pericoloso dogmatico del libero arbitrio.
Che storia che ci racconta Osvaldo Bayer in Severino Di Giovanni. C'era una volta in America del sud (edizioni Agenzia X), una storia fatta di molti suoni e molte voci: i canti degli emigrati italiani, i colpi ripetuti degli scalpelli, le esplosioni secche delle armi da fuoco, le note triste del tango, il rumoreggiare delle folle in sciopero, le deflagrazioni delle bombe, i singhiozzi delle madri... Suoni, voci e anche odori: del mare, della polvere da sparo, dell'inchiostro.
Figura da romanzo, prima ancora che da biografia, quella di Severino Di Giovanni, anarchico dell'Abruzzo, scappato dall'Italia di Mussolini e deciso a inseguire la sua utopia tra le strade di Buenos Aires. Pronto a tutto, per questo.
Figura che non mi incanta, per il suo disprezzo della vita sua e altrui, per le bombe che sempre bombe sono, non importa il loro colore. Eppure che personaggio, Severino Di Giovanni, incredibile impasto di fanatismo e intelligenza, di coraggio e tenerezza.
Finì male, come era inevitabile: davanti a un plotone di esecuzione. Ma non è questo, sono sicuro, che vi resterà dentro dopo aver chiuso il libro di Bayer. Piuttosto la sua storia di amore con Josefina, l'adolescente che lo stregò. L'uomo che giocava con il tritolo sapeva sciogliersi in lettere d'amore come un liceale. Braccato come pericolo pubblico numero uno faceva di tutto per andare a prendere a scuola la fidanzatina.
Ci sono storie che sembrano uscire da un romanzo per abitare a modo loro la realtà. Una è di sicuro questa.
Che storia che ci racconta Osvaldo Bayer in Severino Di Giovanni. C'era una volta in America del sud (edizioni Agenzia X), una storia fatta di molti suoni e molte voci: i canti degli emigrati italiani, i colpi ripetuti degli scalpelli, le esplosioni secche delle armi da fuoco, le note triste del tango, il rumoreggiare delle folle in sciopero, le deflagrazioni delle bombe, i singhiozzi delle madri... Suoni, voci e anche odori: del mare, della polvere da sparo, dell'inchiostro.
Figura da romanzo, prima ancora che da biografia, quella di Severino Di Giovanni, anarchico dell'Abruzzo, scappato dall'Italia di Mussolini e deciso a inseguire la sua utopia tra le strade di Buenos Aires. Pronto a tutto, per questo.
Figura che non mi incanta, per il suo disprezzo della vita sua e altrui, per le bombe che sempre bombe sono, non importa il loro colore. Eppure che personaggio, Severino Di Giovanni, incredibile impasto di fanatismo e intelligenza, di coraggio e tenerezza.
Finì male, come era inevitabile: davanti a un plotone di esecuzione. Ma non è questo, sono sicuro, che vi resterà dentro dopo aver chiuso il libro di Bayer. Piuttosto la sua storia di amore con Josefina, l'adolescente che lo stregò. L'uomo che giocava con il tritolo sapeva sciogliersi in lettere d'amore come un liceale. Braccato come pericolo pubblico numero uno faceva di tutto per andare a prendere a scuola la fidanzatina.
Ci sono storie che sembrano uscire da un romanzo per abitare a modo loro la realtà. Una è di sicuro questa.
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