Finito un bel giro di presentazioni del mio ultimo libro, Il babbo era un ladro, posso almeno dire una cosa: non so quanto sono riuscito a motivare alla lettura chi per caso o per sua responsabilità è stato a sentirmi; ma in ogni caso io ora ne so un po' di più di cosa ho scritto.
Per esempio quella sera alla Biblioteca delle Oblate, quando un lettore attento e rigoroso come Leandro Piantini ha puntato il dito su tre parole di una frase che sulla pagina sembrava finita quasi per caso: Era anche altro, per poi assicurare: questa frase è l'architrave della storia. Ora questa frase suona diversa anche per me.
O come la volta dopo, a Palazzo Medici Riccardi, quando un poeta e amico come Michele Brancale ha affermato che il vero tema del libro era il tempo che fugge e che questa, malgrado il titolo, non è una storia di furti da codice penale, ma una storia di furti esistenziali. E io me lo sono appuntato, perché, tra l'altro, è una cosa bella da dire.
O come l'altra sera a Gaeta quando un'altra persona che con la poesia ha molta confidenza, Sandra Cervone, ha spiegato che il filo comune dei miei libri è il rapporto tra genitori e figlio. E questo non me n'ero mai accorto, ma poi ho pensato a Una famiglia, a Una domenica come le altre, e mi sono detto: chissà forse è proprio così, forse è questo il nodo che ancora non ho sciolto, forse invece che scrivere altri libri prima o poi dovrò pensare al lettino dello psicanalista.
Il bello delle presentazioni mi sa che è proprio questo, anche se lo può apprezzare solo l'autore. Che ci si arricchisce con altri punti di vista. Che le parole di altre letture ci restituiscono libri diversi.
Per esempio quella sera alla Biblioteca delle Oblate, quando un lettore attento e rigoroso come Leandro Piantini ha puntato il dito su tre parole di una frase che sulla pagina sembrava finita quasi per caso: Era anche altro, per poi assicurare: questa frase è l'architrave della storia. Ora questa frase suona diversa anche per me.
O come la volta dopo, a Palazzo Medici Riccardi, quando un poeta e amico come Michele Brancale ha affermato che il vero tema del libro era il tempo che fugge e che questa, malgrado il titolo, non è una storia di furti da codice penale, ma una storia di furti esistenziali. E io me lo sono appuntato, perché, tra l'altro, è una cosa bella da dire.
O come l'altra sera a Gaeta quando un'altra persona che con la poesia ha molta confidenza, Sandra Cervone, ha spiegato che il filo comune dei miei libri è il rapporto tra genitori e figlio. E questo non me n'ero mai accorto, ma poi ho pensato a Una famiglia, a Una domenica come le altre, e mi sono detto: chissà forse è proprio così, forse è questo il nodo che ancora non ho sciolto, forse invece che scrivere altri libri prima o poi dovrò pensare al lettino dello psicanalista.
Il bello delle presentazioni mi sa che è proprio questo, anche se lo può apprezzare solo l'autore. Che ci si arricchisce con altri punti di vista. Che le parole di altre letture ci restituiscono libri diversi.
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