Adesso scrivo con un pennino comprato al mercato dell'antiquariato. Voglio provare le stesse sensazioni del passato, di quando Pirandello intingeva nel calamaio. Scrivo al massimo quattro-cinque parole, poi rituffo il pennino d'oro (ebbene sì, lo avevo comprato d'oro, non avevo badato a spese) nella boccetta anche questa rigorosamente d'epoca. Con cura, faccio scivolare sul bordo di vetro la goccia blu superflua che sarebbe caduta imbrattando il foglio. Il gesto di allungare la mano verso il calamaio dà ritmo alla scrittura, è un movimento che aiuta la fantasia a prendere forma concreta, non è una perdita di tempo, tutt'altro. Mi trovo perfettamente a mio agio nonostante in ufficio lavori al computer. E per vivere ancora di più queste sensazioni scrivo a lume di candela...
Che cosa straordinaria, per un uomo che lavora nell'editoria, poter mettere le mani su un manoscritto di Luigi Pirandello che dire perduto è poco, perché della sua esistenza in effetti non si era mai avuto sentore: la prima novella, scritta da ragazzino, il primo passo nei territori della letteratura.
Che cosa straordinaria e quali emozioni si possono scatenare anche solo riconoscere le prime lettere, individuare quella grafia, capire che si tratta di un documento autentico, che sulla carta c'è davvero un Pirandello che nessuno aveva avuto sotto gli occhi...
Ma cosa potrà mai succedere, se questa novella è in realtà incompiuta, la sua trama congelata su una pagina, i suoi personaggi bloccati come per una istantanea, in attesa del seguito?
Succede, potrà succedere, quello che ci racconta Il quaderno perduto di Pirandello (Felici editore), primo romanzo di Giovanni Parlato, giornalista navigato che qui, in uno dei libri che più mi hanno sorpreso del 2013, si rivela anche grande narratore.
Storia di una sfida letteraria, questa, mossa da una tentazione che non si sa se sia più truffa o immedesimazione. Storia di pagine che, a distanza di tanti anni, una volta riscoperte, ancora sanno parlare, destare emozioni, sollecitare scelte. Storia che è più di una storia, è una storia molteplice, che si frange su numerosi piani e sviluppi, complessa come può essere una novella di Pirandello, dolce e rassegnata come può esserlo solo una sera siciliana.
In ogni caso storia popolata di ombre e possibilità, storia sospesa in quella magia che solo certe terre e certa letteratura sanno evocare.
Che cosa straordinaria, per un uomo che lavora nell'editoria, poter mettere le mani su un manoscritto di Luigi Pirandello che dire perduto è poco, perché della sua esistenza in effetti non si era mai avuto sentore: la prima novella, scritta da ragazzino, il primo passo nei territori della letteratura.
Che cosa straordinaria e quali emozioni si possono scatenare anche solo riconoscere le prime lettere, individuare quella grafia, capire che si tratta di un documento autentico, che sulla carta c'è davvero un Pirandello che nessuno aveva avuto sotto gli occhi...
Ma cosa potrà mai succedere, se questa novella è in realtà incompiuta, la sua trama congelata su una pagina, i suoi personaggi bloccati come per una istantanea, in attesa del seguito?
Succede, potrà succedere, quello che ci racconta Il quaderno perduto di Pirandello (Felici editore), primo romanzo di Giovanni Parlato, giornalista navigato che qui, in uno dei libri che più mi hanno sorpreso del 2013, si rivela anche grande narratore.
Storia di una sfida letteraria, questa, mossa da una tentazione che non si sa se sia più truffa o immedesimazione. Storia di pagine che, a distanza di tanti anni, una volta riscoperte, ancora sanno parlare, destare emozioni, sollecitare scelte. Storia che è più di una storia, è una storia molteplice, che si frange su numerosi piani e sviluppi, complessa come può essere una novella di Pirandello, dolce e rassegnata come può esserlo solo una sera siciliana.
In ogni caso storia popolata di ombre e possibilità, storia sospesa in quella magia che solo certe terre e certa letteratura sanno evocare.
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