Doveva essere uno scrittore di successo per chi alla lettura chiede soprattutto la possibilità di evasione. Intrigo, mistero, esotismo in buone dosi. Istanbul, per esempio. O qualche altro angolo di un Mediterraneo che allora non era solcato dalla flotta Costa. Spie e treni a vapore. Avventurieri e fumerie d'oppio. Io lo rammento soprattutto per il film tratto dal suo Topkapi, storia di un rocambolesco furto.
Per intendersi: questi gli ingredienti vincenti di Eric Ambler. Grosso modo titoli piuttosto adatti a collane quali I gialli o i Segretissimi Mondadori. Eppure l'altro giorno proprio su un libro di Eric Ambler, La maschera di Dimitrios (Adelphi), abbiamo discusso al circolo di lettura che da qualche tempo si riunisce all'Sms di Peretola. Nessuno ha ricordato il film, protagonista Peter Lorre, che anche da questo libro è stato tratto - Ambler era evidentemente un autore congeniale al cinema anglosassone. Non mi pare nemmeno che ci siano stati commenti sulla qualità della trama e sulla forza dei dialoghi.
Ma se ora provo a mettere ordine alla discussione, non ci riesco. Senz'altro abbiamo parlato della capacità di Ambler di giocare con la finzione narrativa, uscendo ed entrando dentro la storia e in qualche modo sfidando le regole del genere. Per un po' abbiamo indugiato sulla sua capacità di rendere vivi e credibili i personaggi. Poi però è come se le dighe si fossero aperte: e seguendo una traccia dietro l'altra, eccoci a riflettere su Istanbul all'inizio del Novecento, sui massacri tra greci e turchi che oggi abbiamo dimenticato e che pure ancora oggi spiegano un bel po' di cose, di genocidi dimenticati e di meccanismi della memoria, che non è ben chiaro com'è che salvino alcuni fatti per lasciarne indietro altri. E anche di persecuzioni subiti da popoli, di ferite ancora aperte, di letteratura che a volte è l'unica risorsa che abbiamo per ricordare. E di Balcani, naturalmente anche di Balcani, com'erano e come forse sono ancora.
Mica male. E tutto questo, figurarsi, proprio grazie a Eric Ambler.
Per intendersi: questi gli ingredienti vincenti di Eric Ambler. Grosso modo titoli piuttosto adatti a collane quali I gialli o i Segretissimi Mondadori. Eppure l'altro giorno proprio su un libro di Eric Ambler, La maschera di Dimitrios (Adelphi), abbiamo discusso al circolo di lettura che da qualche tempo si riunisce all'Sms di Peretola. Nessuno ha ricordato il film, protagonista Peter Lorre, che anche da questo libro è stato tratto - Ambler era evidentemente un autore congeniale al cinema anglosassone. Non mi pare nemmeno che ci siano stati commenti sulla qualità della trama e sulla forza dei dialoghi.
Ma se ora provo a mettere ordine alla discussione, non ci riesco. Senz'altro abbiamo parlato della capacità di Ambler di giocare con la finzione narrativa, uscendo ed entrando dentro la storia e in qualche modo sfidando le regole del genere. Per un po' abbiamo indugiato sulla sua capacità di rendere vivi e credibili i personaggi. Poi però è come se le dighe si fossero aperte: e seguendo una traccia dietro l'altra, eccoci a riflettere su Istanbul all'inizio del Novecento, sui massacri tra greci e turchi che oggi abbiamo dimenticato e che pure ancora oggi spiegano un bel po' di cose, di genocidi dimenticati e di meccanismi della memoria, che non è ben chiaro com'è che salvino alcuni fatti per lasciarne indietro altri. E anche di persecuzioni subiti da popoli, di ferite ancora aperte, di letteratura che a volte è l'unica risorsa che abbiamo per ricordare. E di Balcani, naturalmente anche di Balcani, com'erano e come forse sono ancora.
Mica male. E tutto questo, figurarsi, proprio grazie a Eric Ambler.
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