Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall'ombra dei fossi ma son mille papaveri rossi... Dormi sepolto... ma come continua?
Scontato, lo so, ma è da un pezzo che mi girano per la testa le parole della Canzone di Piero. Familiari, come un'abitudine che invecchia bene, come un diario che non è stato abbandonato in soffitta. Familiari e senza pretese. Perfino indulgenti Senza recriminazioni per la mia bocca sigillata.
Meglio così. Anche Fabrizio De André, sono sicuro, queste parole se le sarebbe lasciate dentro. Dormi sepolto in un campo di grano. Dormite sepolti in un campo di grano. Fabrizio De André, nel caso, si sarebbe acceso un'altra sigaretta, mescolando il suo fumo all'ultima nebbia. Forse avrebbe scollinato Piero e la sua canzone, per andare a pescare la tristezza di qualche poeta francese.
Invece io non le mollo, queste parole. Sono esili fili di luce nel grigio di questa mattina, triste come lo sanno essere solo alcune mattine al Nord. Puntine da disegno che provano a immobilizzare i pensieri, così che non galoppino lontano da ciò che mi aspetta.
Quante volte l'ho cantata, questa canzone. Da ragazzino era tra le poche che sapevo persino strimpellare. Assieme all'attacco di Smoke on the Water dei Deep Purple e di Stairway to heaven dei Led Zeppelin. Tre accordi e via.
Sparagli Pietro, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora. Però soprattutto i papaveri rossi, i mille papaveri rossi.
Ci sono ancora, i papaveri rossi, ondeggiano nel vento freddo, tra le spighe di grano che non hanno fretta di maturare. Uniche macchie di colore vivo in questo giorno spento, che ha adoperato solo la tavolozza della malinconia.
E sono importanti i papaveri, in questo mio viaggio. Sono i fiori dei morti in guerra, del ricordo di ciò che è stato. Il rosso dei loro petali è il rosso del sangue che è stato sparso nelle trincee. Per capirlo sono dovuto arrivare fin qui, sui campi della Somme. Francia del Nord, vicino alle Fiandre. Uno dei più terrificanti mattatoi della Grande Guerra.
(da Paolo Ciampi, Nel libro, figlio, tu vivrai, Sarnus)
Scontato, lo so, ma è da un pezzo che mi girano per la testa le parole della Canzone di Piero. Familiari, come un'abitudine che invecchia bene, come un diario che non è stato abbandonato in soffitta. Familiari e senza pretese. Perfino indulgenti Senza recriminazioni per la mia bocca sigillata.
Meglio così. Anche Fabrizio De André, sono sicuro, queste parole se le sarebbe lasciate dentro. Dormi sepolto in un campo di grano. Dormite sepolti in un campo di grano. Fabrizio De André, nel caso, si sarebbe acceso un'altra sigaretta, mescolando il suo fumo all'ultima nebbia. Forse avrebbe scollinato Piero e la sua canzone, per andare a pescare la tristezza di qualche poeta francese.
Invece io non le mollo, queste parole. Sono esili fili di luce nel grigio di questa mattina, triste come lo sanno essere solo alcune mattine al Nord. Puntine da disegno che provano a immobilizzare i pensieri, così che non galoppino lontano da ciò che mi aspetta.
Quante volte l'ho cantata, questa canzone. Da ragazzino era tra le poche che sapevo persino strimpellare. Assieme all'attacco di Smoke on the Water dei Deep Purple e di Stairway to heaven dei Led Zeppelin. Tre accordi e via.
Sparagli Pietro, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora. Però soprattutto i papaveri rossi, i mille papaveri rossi.
Ci sono ancora, i papaveri rossi, ondeggiano nel vento freddo, tra le spighe di grano che non hanno fretta di maturare. Uniche macchie di colore vivo in questo giorno spento, che ha adoperato solo la tavolozza della malinconia.
E sono importanti i papaveri, in questo mio viaggio. Sono i fiori dei morti in guerra, del ricordo di ciò che è stato. Il rosso dei loro petali è il rosso del sangue che è stato sparso nelle trincee. Per capirlo sono dovuto arrivare fin qui, sui campi della Somme. Francia del Nord, vicino alle Fiandre. Uno dei più terrificanti mattatoi della Grande Guerra.
(da Paolo Ciampi, Nel libro, figlio, tu vivrai, Sarnus)
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