Sono persone che si lasciano dietro poche tracce. Quasi anonime. Non si distinguono da certe strade di Parigi, da certi paesaggi di periferie dove ho scoperto, per caso, che avevano abitato. Ciò che sappiamo di loro si riassume spesso in un semplice indirizzo. E questa precisione topografica contrasta con quanto ignorammo per sempre della loro vita... con quel vuoto, con quel grumo di ignoto e di silenzio.
Ecco, forse è tutto in queste righe il senso ultimo di un piccolo grande libro del premio Nobel Patrick Modiano, Dora Bruder (Guanda): persone inghiottite dall'oblio, tracce evanescenti e ombre che forse abitano le strade e le piazze delle nostre città, grumi di silenzio, vuoti che si spalancano come se ci stesse per franare il terreno sotto i piedi.
Si legge in un lampo, Dora Bruder, ma poi è uno di quei libri che non se ne vanno, che continuano a interrogare come dovere della memoria, come necessità di riparazione, come vita che è stata cancellata dalle nostre mappe. Molti altri libri, molte altre storie, lascerò passare prima di non avvertire più lo sguardo addosso, enigmatico ed esigente, di quella ragazza in copertina.
Qualcosa del genere è successo anche a me, con la storia di Enrica Calabresi, che anni fa ho cercato di raccontare in Un nome (Giuntina), onestamente concedendo a me stesso che non c'era molto da raccontare, o forse c'era da raccontare più un bisogno di verità, una ricerca, che la storia di una persona.
Con Un nome la professoressa ebrea suicida prima della deportazione e una foto di tempi sereni in copertina. Con Dora Bruder un ritaglio di giornale in cui due genitori ebrei chiedono notizie della figlia scomparsa nella Parigi occupata da Hitler. Vuoto e silenzio appunto. Anche se poi la fine di Dora è, almeno burocraticamente, nota. Un treno per il lager senza ritorno per questa adolescente che non ha lasciato praticamente niente dietro di sé. Ma prima, prima che è successo? Che vita è stata quella di Dora?
Un mistero che non cambierà la nostra vita. E che pure dà un senso al nostro modo di stare al mondo e di interrogare la storia.
Ecco, forse è tutto in queste righe il senso ultimo di un piccolo grande libro del premio Nobel Patrick Modiano, Dora Bruder (Guanda): persone inghiottite dall'oblio, tracce evanescenti e ombre che forse abitano le strade e le piazze delle nostre città, grumi di silenzio, vuoti che si spalancano come se ci stesse per franare il terreno sotto i piedi.
Si legge in un lampo, Dora Bruder, ma poi è uno di quei libri che non se ne vanno, che continuano a interrogare come dovere della memoria, come necessità di riparazione, come vita che è stata cancellata dalle nostre mappe. Molti altri libri, molte altre storie, lascerò passare prima di non avvertire più lo sguardo addosso, enigmatico ed esigente, di quella ragazza in copertina.
Qualcosa del genere è successo anche a me, con la storia di Enrica Calabresi, che anni fa ho cercato di raccontare in Un nome (Giuntina), onestamente concedendo a me stesso che non c'era molto da raccontare, o forse c'era da raccontare più un bisogno di verità, una ricerca, che la storia di una persona.
Con Un nome la professoressa ebrea suicida prima della deportazione e una foto di tempi sereni in copertina. Con Dora Bruder un ritaglio di giornale in cui due genitori ebrei chiedono notizie della figlia scomparsa nella Parigi occupata da Hitler. Vuoto e silenzio appunto. Anche se poi la fine di Dora è, almeno burocraticamente, nota. Un treno per il lager senza ritorno per questa adolescente che non ha lasciato praticamente niente dietro di sé. Ma prima, prima che è successo? Che vita è stata quella di Dora?
Un mistero che non cambierà la nostra vita. E che pure dà un senso al nostro modo di stare al mondo e di interrogare la storia.
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