Quando le parole sono l'uovo del serpente: il crimine che fa la prova generale. Quando non è solo questione di idee, sballate come tante nella storia del pensiero. Quando le parole sono esse stesse crimine per cui non è possibile invocare libertà.
Tutto questo mi è venuto in mente leggendo Precursori dello sterminio (edizioni Ombre Corte), libro curato dagli storici Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti, intorno a un documento di due rispettabilissimi intellettuali della Germania di Weimar, un giurista e uno psichiatra. Era il 1920, Hitler era ancora un pittore fallito e rancoroso, nessuno si sarebbe mai potuto immaginare come sarebbe andata a finire, in questo paese uscito a pezzi dalla Grande Guerra.
Erano sostenitori dell'eugenetica, i due. Persone che si ponevano seriamente il problema della "degenerazione della razza" e dell'impoverimento genetico di un popolo. Discorsi che potevano far presa in una Germania che aveva visto morire al fronte la sua "meglio gioventù": perché ci si doveva far carico degli storpi e dei matti?
Poi sarebbe arrivato Hitler e quelle idee diventarono "buone pratiche": sterilizzazioni ed eutanasie, magari spacciate da "morte caritatevoli". Quindi altri "trattamenti" cominciarono a essere autorizzati: tutto nel rispetto delle regole, perché quello era un regime che sapeva darsi le regole e che quelle regole faceva rispettare.
Si arrivò al programma T4, per "disinfettare" la nazione ariana. E decine di migliaia di persone sparirono nelle cliniche. E per la prima volta si usarono i gas. Prove generali anche queste, di quello che sarebbe successo in terre più a est, con la guerra nazista.
Anni più tardi medici e scienziati si sarebbero difesi nei processi: erano solo idee; era un modo di manifestare pietà; in ogni caso non avevano fatto altro che obbedire agli ordini e stare dentro le procedure.
E dunque è un libretto da leggere, questo: un piccolo grande insegnamento su ciò che è e non è responsabilità.
Tutto questo mi è venuto in mente leggendo Precursori dello sterminio (edizioni Ombre Corte), libro curato dagli storici Ernesto De Cristofaro e Carlo Saletti, intorno a un documento di due rispettabilissimi intellettuali della Germania di Weimar, un giurista e uno psichiatra. Era il 1920, Hitler era ancora un pittore fallito e rancoroso, nessuno si sarebbe mai potuto immaginare come sarebbe andata a finire, in questo paese uscito a pezzi dalla Grande Guerra.
Erano sostenitori dell'eugenetica, i due. Persone che si ponevano seriamente il problema della "degenerazione della razza" e dell'impoverimento genetico di un popolo. Discorsi che potevano far presa in una Germania che aveva visto morire al fronte la sua "meglio gioventù": perché ci si doveva far carico degli storpi e dei matti?
Poi sarebbe arrivato Hitler e quelle idee diventarono "buone pratiche": sterilizzazioni ed eutanasie, magari spacciate da "morte caritatevoli". Quindi altri "trattamenti" cominciarono a essere autorizzati: tutto nel rispetto delle regole, perché quello era un regime che sapeva darsi le regole e che quelle regole faceva rispettare.
Si arrivò al programma T4, per "disinfettare" la nazione ariana. E decine di migliaia di persone sparirono nelle cliniche. E per la prima volta si usarono i gas. Prove generali anche queste, di quello che sarebbe successo in terre più a est, con la guerra nazista.
Anni più tardi medici e scienziati si sarebbero difesi nei processi: erano solo idee; era un modo di manifestare pietà; in ogni caso non avevano fatto altro che obbedire agli ordini e stare dentro le procedure.
E dunque è un libretto da leggere, questo: un piccolo grande insegnamento su ciò che è e non è responsabilità.
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