La Storia quasi sempre è storia dei grandi, non di coloro che la fanno e la subiscono davvero: dei generali e non delle truppe. Ma se la Storia, in questo senso, quasi sempre è amnesia e silenzio, la forza della scrittura sa restituire voce a chi non l'ha mai avuta, sa raccontare le storie nella Storia, forse perfino conservare brandelli di vita.
A tutto questo - mica poco - ho pensato immergendomi de Le rondini di Montecassino di Helena Janeczeck (Guanda), romanzo corale che raccoglie e racconta parabole di vita e di morte intorno alla terribile battaglia con cui, per quattro mesi nel 1944, gli Alleati tentarono di sfondare le linee tedesche in Italia. Ma chi erano gli Alleati? Americani chewing gum in bocca e cioccolata da distribuire? Inglesi capaci di andare all'assalto con il gusto di un'ultima battuta?
E no, c'era un mondo, in quella battaglia. Indiani, nepalesi, maghrebini. Un migliaio di ebrei che imbracciarono le armi per rivendicare il diritto a esistere, mentre il loro popolo veniva spinto verso le camere a gas. Un battaglione di maori che mai si sarebbe immaginato di combattere in Europa. Persino un esercito, quello polacco, resuscitato dai suoi stessi carnefici sovietici, quanto ne rimaneva, almeno, dopo le stragi di massa e l'invio nei gulag siberiani.
Non c'è la penna dello storico, in queste pagine, ma la penna della grande narratrice, che annoda e srotola storie, cambiando punti di vista, spostandosi da un tempo all'altro per raccontare le vicende di chi, pur combattendo con i vincitori, non è sfuggito al destino dei vinti.
E per raccontarli può servire anche l'incontro in un taxi di Milano, o un viaggio in Italia del nipote di un veterano maori, oppure le esperienze di due ragazzi cresciuti a Roma nei nostri anni.... perché è anche così che si fa storia.
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