Quest'uomo che è un concentrato di dolore e che pure ci accompagnerà tutta la sua vita con le sue lune silenti, i dolci naufragi nell'infinito, i ricordi della fanciullezza. Quest'uomo debole e incerto eppure dalle mente inflessibile, direi spietata. Quest'uomo che amava le illusioni e che faceva di tutto per squarciarne il velo. Quest'uomo che fa paura da quanto ha sofferto e che pure ora conosco anche per come sapeva conversare amabilmente, con il dono della leggerezza, o per come trovava irresistibile, da gran goloso, i dolcetti napoletani.
Ovvero Giacomo Leopardi, che mi porto dietro dai tempi della scuola, tra i pochi autori che i programmi ministeriali non mi hanno inflitto, piuttosto mi hanno consegnato come un regalo da conservare con attenzione.
Dopo diverso tempo finalmente ho letto il Leopardi di Pietro Citati (Mondadori), libro che mi piaceva tenere in bella vista, non fosse altro che per la copertina con uno dei miei quadri e uno dei miei pittori preferiti - Le scogliere dell'isola di Rugen di Caspar David Friedrich, inquietudine ed enigma dell'infinito - ma che mai avevo osato affrontare. Libro impervio in effetti, per mole e densità, impervio ma bellissimo: di quelli che, alla fine, procurano la stessa soddisfazione di una montagna una volta che sei sulla cima.
Biografia ma anche rilettura dell'intera opera di un grandissimo che non sentiamo come poeta sul piedistallo, ma come uomo che, magnificamente, ci parla cuore a cuore. E che ci consente di riconoscerci, proprio grazie alle sue parole.
Citati entra dentro la vita Leopardi, vi partecipa, ce la rivela. E incanta, anche quando il suo discorso vola alto: indugiate, per esempio, sulle pagine in cui ci racconta dell'importanza della luna nella visione poetica di Leopardi.
Vola alto, ma per ritrovare sempre l'uomo che, estraneo ai tempi moderni quasi per definizione, meglio di tutti ha saputo esprimere la condizione di noi moderni. E per spingerci di fronte alla questione delle questioni: esiste la felicità? E se esiste, dov'è?
Ovvero Giacomo Leopardi, che mi porto dietro dai tempi della scuola, tra i pochi autori che i programmi ministeriali non mi hanno inflitto, piuttosto mi hanno consegnato come un regalo da conservare con attenzione.
Dopo diverso tempo finalmente ho letto il Leopardi di Pietro Citati (Mondadori), libro che mi piaceva tenere in bella vista, non fosse altro che per la copertina con uno dei miei quadri e uno dei miei pittori preferiti - Le scogliere dell'isola di Rugen di Caspar David Friedrich, inquietudine ed enigma dell'infinito - ma che mai avevo osato affrontare. Libro impervio in effetti, per mole e densità, impervio ma bellissimo: di quelli che, alla fine, procurano la stessa soddisfazione di una montagna una volta che sei sulla cima.
Biografia ma anche rilettura dell'intera opera di un grandissimo che non sentiamo come poeta sul piedistallo, ma come uomo che, magnificamente, ci parla cuore a cuore. E che ci consente di riconoscerci, proprio grazie alle sue parole.
Citati entra dentro la vita Leopardi, vi partecipa, ce la rivela. E incanta, anche quando il suo discorso vola alto: indugiate, per esempio, sulle pagine in cui ci racconta dell'importanza della luna nella visione poetica di Leopardi.
Vola alto, ma per ritrovare sempre l'uomo che, estraneo ai tempi moderni quasi per definizione, meglio di tutti ha saputo esprimere la condizione di noi moderni. E per spingerci di fronte alla questione delle questioni: esiste la felicità? E se esiste, dov'è?
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