Ci sono libri belli di cui ti vien voglia di scrivere fiumi di
parole, fosse solo per condividere il piacere di quella lettura. Ci sono
libri bellissimi di cui invece non ti senti capace di dire praticamente
niente, sarà che dovresti dire troppo, sarà che ti sembra di sciupare
qualcosa, sarà che in effetti non c'è niente da aggiungere e l'unica
cosa che puoi fare davvero è un'opera di sottrazione, per lasciare che
parli solo il libro, direttamente, senza filtri.
Le correzioni di Jonathan Franzen (Einaudi) per me è un libro così. Un libro che mi ha regalato emozioni che da tempo non provavo e di cui non riesco a parlare, sarà che per parlarne in realtà dovrei parlare di me stesso.
In queste pagine ho visto la mia vita e la vita di tante persone che mi sono vicine. Ci ho trovato il mondo di oggi, la sua economia, la cultura che va per la maggiore. Allo stesso tempo sono entrato prepotentemente dentro la storia di una famiglia, inferno e squarci di tenerezza.
Pensare che per anni è rimasto dalle parti basse della pila di libri "in attesa di lettura", come una pratica burocratica che si cerca di non evadere, rimandandola alle calende greche. Una volta l'avevo perfino attaccato, due o tre paginette di approccio e poi l'immediata resa, per pigrizia: troppe pagine, caratteri troppo fitti, e poi che sarà mai, solo un altro buon scrittore americano.
(a dimostrazione che ogni libro ha il suo tempo. Mi era successo anche con l'Ulisse di Joyce)
Poi ho scoperto che Le correzioni aveva la dimensione ideale per un viaggio in aereo e una vacanzina in bicicletta. Ora l'ho finito da qualche giorno ed è sempre qui, accanto al mio computer. Non ho il coraggio di rimetterlo sullo scaffale.
E rifletto sulle "correzioni" del titolo, sulle traiettorie che non sempre sono quelle di una palla di biliardo, sui diversi movimenti che a volte dovremmo imprimere alle nostre vite, sulla triste constatazione che quasi sempre non siamo noi a correggere la vita, piuttosto è la vita che ci corregge: refuso da cancellare, variabile dipendente, discolo da rimettere in riga.
Le correzioni di Jonathan Franzen (Einaudi) per me è un libro così. Un libro che mi ha regalato emozioni che da tempo non provavo e di cui non riesco a parlare, sarà che per parlarne in realtà dovrei parlare di me stesso.
In queste pagine ho visto la mia vita e la vita di tante persone che mi sono vicine. Ci ho trovato il mondo di oggi, la sua economia, la cultura che va per la maggiore. Allo stesso tempo sono entrato prepotentemente dentro la storia di una famiglia, inferno e squarci di tenerezza.
Pensare che per anni è rimasto dalle parti basse della pila di libri "in attesa di lettura", come una pratica burocratica che si cerca di non evadere, rimandandola alle calende greche. Una volta l'avevo perfino attaccato, due o tre paginette di approccio e poi l'immediata resa, per pigrizia: troppe pagine, caratteri troppo fitti, e poi che sarà mai, solo un altro buon scrittore americano.
(a dimostrazione che ogni libro ha il suo tempo. Mi era successo anche con l'Ulisse di Joyce)
Poi ho scoperto che Le correzioni aveva la dimensione ideale per un viaggio in aereo e una vacanzina in bicicletta. Ora l'ho finito da qualche giorno ed è sempre qui, accanto al mio computer. Non ho il coraggio di rimetterlo sullo scaffale.
E rifletto sulle "correzioni" del titolo, sulle traiettorie che non sempre sono quelle di una palla di biliardo, sui diversi movimenti che a volte dovremmo imprimere alle nostre vite, sulla triste constatazione che quasi sempre non siamo noi a correggere la vita, piuttosto è la vita che ci corregge: refuso da cancellare, variabile dipendente, discolo da rimettere in riga.
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