Diffidavo di questo libro, diffidavo come mi capita di diffidare dei libri pompati da centinaia di migliaia di copie già vendute altrove, con tanto di premi - in questo caso nientemeno che il Goncourt - accaparrati con incontenibile voracità.
Se ho finito per comprarlo, Il club degli incorreggibili ottimisti di Jean Michel Guenassia, mi sa che è solo per la copertina, bellissima, per questa immagine che evoca tutto un mondo e un'epoca, la Parigi della rive gauche, i bistrot e i pernod, le appartenenze ideologiche e gli sradicamenti del mal di vivere, discussioni tirate fino all'alba, poesia, volute di fumo.
E non sarà un capolavoro, ma questa Parigi c'è tutta, Jean Paul Sartre compreso. E in questa Parigi c'è un bel pezzo di mondo. In particolare il mondo degli esuli, vite sottratte a dittature e offese varie, sospinte verso la Francia come i relitti di un naufragio.
Esilio come rinascita, esilio come incapacità di riannodare i fili dell'esistenza. Esilio ed esili, le molte storie che si intrecciano in uno di quei locali dove la Storia si riduce a una partita di biliardo, a un litigio inconcludente, a un gruppo di uomini che a notte fonda cercano di ritrovare la via di casa, se casa c'è.
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