Beh, per me è questo che devono essere i libri di viaggio, mica un itinerario, una meta tracciata su una mappa, una successione di tappe, piuttosto un caleidoscopio di emozioni, un groviglio di storie da provare a dipanare. Proprio così, come in questo Balkan Circus di Angelo Floramo (Ediciclo).
Libro che ti prende alla sprovvista, libro che come tutti i buoni libri non riesce facile definire. Cosa c'è dentro? Racconti? Reportage? Ricordi? Sfuggono a ogni classificazione, le pagine di Floramo, ed è bene così, perché l'unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno è quello di lasciarsi andare, liberi da ogni impaccio.
Prima di tutto ci sono i Balcani, in questo libro, ma i Balcani come condizione dello spirito piuttosto che come luogo da rintracciare sulla carta. Un mondo matto fatto di disperata bellezza che non posso fare a meno di amare, dice Floramo, e non ci si può far nulla, ci sono altrove che ti catturano così e non ti mollano, nonostante tutto il veleno che quella bellezza può celare.
Ma non ci sono mica solo i Balcani. Perché i Balcani sono già l'Est.... quell'Est sterminato, che per chi appartiene alla terra di confine di Floramo - all'incirca la stessa di un Claudio Magris o di un Paolo Rumiz - non può essere che inquietudine e seduzione perenne. Confine da varcare, in ogni caso.
L'Est, che richiama e a cui è difficile sottrarsi. L'Oriente che non finisce più. Il mondo slavo, che si spinge fino al Pacifico e che prima o poi bisognerà imparare a conoscere. E le pianure battute dal vento, le frontiere che a ogni giro della storia si sono sgretolate e spostate, il crogiolo dei popoli, delle lingue, delle ambizioni e delle sconfitte. Le pianure gelate, le betulle e il volo dei corvi, le terrificanti bevute di vodka. E i brindisi, perché in queste terre che hanno bevuto troppo sangue, è in compagnia che si beve e si beve sempre per qualcosa. Fosse anche il bicchiere della staffa.
Annusa il pane, e sentirai la terra. Poi mangia veloce una fetta di grasso, per ricordarti che non passiamo invano. E butta giù tutto il bicchiere, fino in fondo. Quello che resta, saranno le lacrime.
Libro che ti prende alla sprovvista, libro che come tutti i buoni libri non riesce facile definire. Cosa c'è dentro? Racconti? Reportage? Ricordi? Sfuggono a ogni classificazione, le pagine di Floramo, ed è bene così, perché l'unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno è quello di lasciarsi andare, liberi da ogni impaccio.
Prima di tutto ci sono i Balcani, in questo libro, ma i Balcani come condizione dello spirito piuttosto che come luogo da rintracciare sulla carta. Un mondo matto fatto di disperata bellezza che non posso fare a meno di amare, dice Floramo, e non ci si può far nulla, ci sono altrove che ti catturano così e non ti mollano, nonostante tutto il veleno che quella bellezza può celare.
Ma non ci sono mica solo i Balcani. Perché i Balcani sono già l'Est.... quell'Est sterminato, che per chi appartiene alla terra di confine di Floramo - all'incirca la stessa di un Claudio Magris o di un Paolo Rumiz - non può essere che inquietudine e seduzione perenne. Confine da varcare, in ogni caso.
L'Est, che richiama e a cui è difficile sottrarsi. L'Oriente che non finisce più. Il mondo slavo, che si spinge fino al Pacifico e che prima o poi bisognerà imparare a conoscere. E le pianure battute dal vento, le frontiere che a ogni giro della storia si sono sgretolate e spostate, il crogiolo dei popoli, delle lingue, delle ambizioni e delle sconfitte. Le pianure gelate, le betulle e il volo dei corvi, le terrificanti bevute di vodka. E i brindisi, perché in queste terre che hanno bevuto troppo sangue, è in compagnia che si beve e si beve sempre per qualcosa. Fosse anche il bicchiere della staffa.
Annusa il pane, e sentirai la terra. Poi mangia veloce una fetta di grasso, per ricordarti che non passiamo invano. E butta giù tutto il bicchiere, fino in fondo. Quello che resta, saranno le lacrime.
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