Eppure quei giovani erano i miei amici, e mi erano carissimi nel preciso momento in cui, in cuor mio, rinunciai a loro. Quale perverso animale è l'uomo, che ha caro soprattutto quanto rifiuta o abbandona.
Di John Williams - grande americano di cui rimpiangiamo di avere solo quattro romanzi più un quinto incompiuto - è facile aver letto e ammirato due capolavori come Stoner e Butcher's crossing. Assai meno che si siano affrontate le pagine poderose di Augustus, romanzo corale, ambizioso, di rara intensità che ripercorre la straordinaria vita di Ottaviano.
All'inizio è solo un ragazzo dagli occhi azzurri, il fisico fragile, la compagnia di un pugno di amici con cui è bello condividere le parole dei saggi e i sogni dei giovani. Ma a soli 18 anni, con l'assassinio di Giulio Cesare, il destino lo chiama e lo cambia: dovrà gettarsi nella mischia, imporre l'astuzia della politica e la forza delle spade, ricorrere a tutte le seduzioni. Roma lo chiede, forse il mondo stesso lo chiede.
Sopravviverà a guerre civili, trame, congiure, tradimenti. Ma lo scotto da pagare sarà duro: perché alla fine della sua lunga vita l'uomo che consegnerà a Roma la pace e l'impero sarà anche un uomo solo, amputato negli affetti, senza più nemmeno il conforto della stessa figlia Giulia che dovrà condannare all'esilio. Un uomo che tornerà spesso all'idea di ciò che era, che poteva essere e che è diventato. Sempre allergico alle manifestazioni del potere, all'ipocrisia e all'adulazione di chi lo circonda, ma anche incapace di darsi una vera risposta: ne è valsa davvero la pena?
Romanzo la cui verità - come premette Williams - appartiene più alla verità della narrativa che a quella della Storia (e perciò, mi pare, ancora più vero), Augustus riecheggia inevitabilmente capolavori come Io, Claudio di Robert Graves e soprattutto Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Ma poi c'è la scrittura inconfondibile di Williams, tra ricostruzione storica, indagine psicologica, meditazione sui destini dell'uomo.
E davvero: è un libro da cui farsi accompagnare a lungo.
Di John Williams - grande americano di cui rimpiangiamo di avere solo quattro romanzi più un quinto incompiuto - è facile aver letto e ammirato due capolavori come Stoner e Butcher's crossing. Assai meno che si siano affrontate le pagine poderose di Augustus, romanzo corale, ambizioso, di rara intensità che ripercorre la straordinaria vita di Ottaviano.
All'inizio è solo un ragazzo dagli occhi azzurri, il fisico fragile, la compagnia di un pugno di amici con cui è bello condividere le parole dei saggi e i sogni dei giovani. Ma a soli 18 anni, con l'assassinio di Giulio Cesare, il destino lo chiama e lo cambia: dovrà gettarsi nella mischia, imporre l'astuzia della politica e la forza delle spade, ricorrere a tutte le seduzioni. Roma lo chiede, forse il mondo stesso lo chiede.
Sopravviverà a guerre civili, trame, congiure, tradimenti. Ma lo scotto da pagare sarà duro: perché alla fine della sua lunga vita l'uomo che consegnerà a Roma la pace e l'impero sarà anche un uomo solo, amputato negli affetti, senza più nemmeno il conforto della stessa figlia Giulia che dovrà condannare all'esilio. Un uomo che tornerà spesso all'idea di ciò che era, che poteva essere e che è diventato. Sempre allergico alle manifestazioni del potere, all'ipocrisia e all'adulazione di chi lo circonda, ma anche incapace di darsi una vera risposta: ne è valsa davvero la pena?
Romanzo la cui verità - come premette Williams - appartiene più alla verità della narrativa che a quella della Storia (e perciò, mi pare, ancora più vero), Augustus riecheggia inevitabilmente capolavori come Io, Claudio di Robert Graves e soprattutto Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Ma poi c'è la scrittura inconfondibile di Williams, tra ricostruzione storica, indagine psicologica, meditazione sui destini dell'uomo.
E davvero: è un libro da cui farsi accompagnare a lungo.
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