Ho impiegato molto tempo per capirlo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi.
Dovessi scegliere le righe in grado di riassumere il senso e lo spirito de La frontiera di Alessandro Leogrande (Feltrinelli), non avrei dubbio, sono senz'altro queste. Giungono verso la fine di questo libro denso e intenso, che non è un romanzo, ma che si legge come un romanzo, che indaga sulle tragedie dei nostri giorni e sa allo stesso tempo acquistare un respiro più ampio, che racconta vicende di un'infinità di persone e che pure porta dentro la narrazione anche l'esperienza, il vissuto di chi scrive.
Ha scritto davvero un bel libro, Alessandro Leogrande, giovane scrittore e vicedirettore del mensile Lo Straniero. Senza retorica, con sguardo pulito, entra dentro l'immane tragedia dei nostri giorni, l'esodo di milioni di persone dai paesi della disperazione. Si interroga sulla nostra frontiera, quella linea immaginaria attraverso il Mediterraneo che unisce e più spesso separa, che è di tutti e di nessuno, che è possibilità di salvezza e tomba per tanti. Ma soprattutto intende andare oltre ciò che c'è alla fine del viaggio: un elenco di morti - di cui per la verità spesso ignoreremo anche i nomi - oppure una lista di richiedenti asilo scampati alla traversata ma non alle incognite del futuro.
E' importare scomporre questo esodo collettivo nei nomi, nei volti, nelle storie. E soprattutto è importante raccontare le storie di questi uomini, donne, bambini. Storie che iniziano prima, molto prima.
Libro importante, La Frontiera, proprio perché ci racconta questo prima. Sia esso l'Eritrea di una speranza rivoluzionaria degradata a orrenda dittatura, oppure la Libia implosa in terribili guerre tribali.
Storie, storie che sarebbe bello ascoltare dalla labbra stesse di chi ce l'ha fatta, perché è proprio con il racconto - dai tempi di Ulisse naufrago nell'isola dei Feaci - che lo straniero si fa davvero ospite. Ma in ogni caso racconto importante, racconto prezioso, in quest'epoca di confini che cambiano, di mura che si consolidano, di distrazione che cresce per il grido di dolore del mondo.
Dovessi scegliere le righe in grado di riassumere il senso e lo spirito de La frontiera di Alessandro Leogrande (Feltrinelli), non avrei dubbio, sono senz'altro queste. Giungono verso la fine di questo libro denso e intenso, che non è un romanzo, ma che si legge come un romanzo, che indaga sulle tragedie dei nostri giorni e sa allo stesso tempo acquistare un respiro più ampio, che racconta vicende di un'infinità di persone e che pure porta dentro la narrazione anche l'esperienza, il vissuto di chi scrive.
Ha scritto davvero un bel libro, Alessandro Leogrande, giovane scrittore e vicedirettore del mensile Lo Straniero. Senza retorica, con sguardo pulito, entra dentro l'immane tragedia dei nostri giorni, l'esodo di milioni di persone dai paesi della disperazione. Si interroga sulla nostra frontiera, quella linea immaginaria attraverso il Mediterraneo che unisce e più spesso separa, che è di tutti e di nessuno, che è possibilità di salvezza e tomba per tanti. Ma soprattutto intende andare oltre ciò che c'è alla fine del viaggio: un elenco di morti - di cui per la verità spesso ignoreremo anche i nomi - oppure una lista di richiedenti asilo scampati alla traversata ma non alle incognite del futuro.
E' importare scomporre questo esodo collettivo nei nomi, nei volti, nelle storie. E soprattutto è importante raccontare le storie di questi uomini, donne, bambini. Storie che iniziano prima, molto prima.
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Storie, storie che sarebbe bello ascoltare dalla labbra stesse di chi ce l'ha fatta, perché è proprio con il racconto - dai tempi di Ulisse naufrago nell'isola dei Feaci - che lo straniero si fa davvero ospite. Ma in ogni caso racconto importante, racconto prezioso, in quest'epoca di confini che cambiano, di mura che si consolidano, di distrazione che cresce per il grido di dolore del mondo.
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