Questa volta non si trattava di recitare tre repliche di un teatro in un centro giovanile, ma di ergersi contro una guerra. Era sublime. Era impensabile, impossibile, grottesco. Andare in un Paese di morte con un naso da clown, riunire dieci persone senza sapere chi fosse chi. Prendere un soldato da ogni fronte e giocare alla pace. Andare in scena.
Alzi la mano chi conosce Sorj Chalandon. Credo assai pochi, per ora: ed è un peccato. Nemmeno io ne avevo sentito parlare fino a qualche settimana fa. Poi al Festival della letteratura di Mantova, con il tutto esaurito agli incontri che avevo per la testa, mi sono imbattuto nel suo nome. Sorj Chalandon, francese, corrispondente per 30 anni di Libération, inviato in molte guerre e autore di reportage importanti sull'Irlanda del Nord e al processo a Klaus Barbie, il boia nazista.
Mi attendevo un incontro sulla sua carriera di giornalista più che navigato - meglio di niente - invece mi sono imbattuto in un romanzo che mi ha subito allettato.Titolo La quarta parete, pubblicato in Italia da Keller. L'ho preso subito, alla libreria del festival, ho cominciato a leggerlo nel cuore della notte, ho fatto fatica a smettere.
E' la storia di Georges, giovane che viene dai sogni più estremi del maggio francese, per anni militante duro e puro deciso a inseguire la sua rivoluzione e per essa pronto alla guerra, convinto come molti all'epoca che c'è guerra e guerra.
Col tempo ha riposto nel cassetto molte illusioni, è diventato uomo di teatro e si trascina in una vita un po' così, direi di piccolo cabotaggio. Ma un giorno l'amico Samuel, regista greco fuggito alla dittatura dei colonnelli, gli chiede un sacrificio quale mai ha mai fatto prima. Lui è malato, non coronerà più il suo sogno, può pensarci Georges al suo posto?
Il suo sogno: rappresentare per una volta, per una sola volta, l'Antigone. Non in un tranquillo teatro parigino, ma nel Libano dilaniato dalla guerra civile - una guerra, tra l'altro, da cui sono discesi molti dei problemi che ancora ci attanagliano.
Sarà a Beirut, in ciò che rimane di un teatro sulla linea del fronte, sotto tiro da una parte e dall'altra. Con attori che sono palestinesi dei campi profughi (ricordate l'eccidio di Sabra e Chatila?), cristiani maroniti, drusi, sciti.... tutte le parti che si stanno massacrando, ma che per una sera, per quelle due ore, per quel lavoro teatrale che proverà a sostituirsi alla vita reale, magari riusciranno a far tacere le armi.
Mi fermo qui, non dico come va a finire. Vinceranno le leggi del cuore o quelle degli uomini indifferenti al cuore e al sangue? Però non poteva che essere l'Antigone, nei giorni dei cecchini e dei bombardamenti. Non poteva che essere la speranza della cultura, come possibilità di pace.
ps: La quarta parete del titolo è la parete invisibile che separa gli attori - e il palcoscenico - dagli spettatori e che fa sì che siano davvero sulla scene e nella storia. Ma forse la quarta parete è anche il sogno del teatro - della cultura - quale altra vita, altro mondo.
Alzi la mano chi conosce Sorj Chalandon. Credo assai pochi, per ora: ed è un peccato. Nemmeno io ne avevo sentito parlare fino a qualche settimana fa. Poi al Festival della letteratura di Mantova, con il tutto esaurito agli incontri che avevo per la testa, mi sono imbattuto nel suo nome. Sorj Chalandon, francese, corrispondente per 30 anni di Libération, inviato in molte guerre e autore di reportage importanti sull'Irlanda del Nord e al processo a Klaus Barbie, il boia nazista.
Mi attendevo un incontro sulla sua carriera di giornalista più che navigato - meglio di niente - invece mi sono imbattuto in un romanzo che mi ha subito allettato.Titolo La quarta parete, pubblicato in Italia da Keller. L'ho preso subito, alla libreria del festival, ho cominciato a leggerlo nel cuore della notte, ho fatto fatica a smettere.
E' la storia di Georges, giovane che viene dai sogni più estremi del maggio francese, per anni militante duro e puro deciso a inseguire la sua rivoluzione e per essa pronto alla guerra, convinto come molti all'epoca che c'è guerra e guerra.
Col tempo ha riposto nel cassetto molte illusioni, è diventato uomo di teatro e si trascina in una vita un po' così, direi di piccolo cabotaggio. Ma un giorno l'amico Samuel, regista greco fuggito alla dittatura dei colonnelli, gli chiede un sacrificio quale mai ha mai fatto prima. Lui è malato, non coronerà più il suo sogno, può pensarci Georges al suo posto?
Il suo sogno: rappresentare per una volta, per una sola volta, l'Antigone. Non in un tranquillo teatro parigino, ma nel Libano dilaniato dalla guerra civile - una guerra, tra l'altro, da cui sono discesi molti dei problemi che ancora ci attanagliano.
Sarà a Beirut, in ciò che rimane di un teatro sulla linea del fronte, sotto tiro da una parte e dall'altra. Con attori che sono palestinesi dei campi profughi (ricordate l'eccidio di Sabra e Chatila?), cristiani maroniti, drusi, sciti.... tutte le parti che si stanno massacrando, ma che per una sera, per quelle due ore, per quel lavoro teatrale che proverà a sostituirsi alla vita reale, magari riusciranno a far tacere le armi.
Mi fermo qui, non dico come va a finire. Vinceranno le leggi del cuore o quelle degli uomini indifferenti al cuore e al sangue? Però non poteva che essere l'Antigone, nei giorni dei cecchini e dei bombardamenti. Non poteva che essere la speranza della cultura, come possibilità di pace.
ps: La quarta parete del titolo è la parete invisibile che separa gli attori - e il palcoscenico - dagli spettatori e che fa sì che siano davvero sulla scene e nella storia. Ma forse la quarta parete è anche il sogno del teatro - della cultura - quale altra vita, altro mondo.
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