Pensare che è il primo romanzo in prosa nella storia della lingua francese: roba, pare, a uso e consumo di appassionati di filologia, comunque di studiosi seri. Pensare che il titolo basta a destare un ovvio timore reverenziale. Il Libro del Graal: roba, è evidente, da malati di strani esoterismi.
Diciamolo pure, se non fosse stato per il mio viaggio di quest'estate in Galles e Cornovaglia, sulle orme di Re Artù e dei suoi cavalieri, da questo libro mi sarei tenuto ben alla larga. Diffidandone con tutto il cuore.
Però è così: sono tornato e ho deciso di dedicare questo autunno, forse anche l'inverno alle storie del Re dei Britanni, con tutto quello che ne discende: compresa l'estenuante ricerca del Santo Graal. Per questo mi sono imbattuto anche in questa opera di Robert de Boron, scrittore di Francia, anzi, di Borgogna, dell'epoca della cavalleria e delle crociate.
E alle sue pagine mi sono avvicinato come chi se ne sta al bordo della piscina e sfiora l'acqua con le dita del piede, perché non sia mai, magari è troppo fredda. Per poi trovarmi di colpo in acqua e nuotare, a nuotare con il freddo che se c'è stato ora se n'è andato via.
E ho letto di Giuseppe di Arimatea, primo custode del calice che raccolse il sangue di Cristo. Ho letto di Merlino, nato dall'unione di una donna e del diavolo, dotato del dono della profezia e della metamorfosi, profeta del Graal e guida di Artù. Ho letto dei cavalieri della Tavola Rotonda, delle loro peripezie, dei loro duelli, dei loro viaggi per mare e per terra. Ho letto infine di Perceval, il più indomito ma soprattutto il più puro di tutti, che arrivato al Graal una prima volta se ne dovrà tornare indietro perché non ha posto la domanda che doveva porre. Ma che in seguito - dopo aver ancora tanto cercato e penato - del Graal potrà diventare l'ultimo custode.
Sorprendente, coinvolgente, enigmatico, anche a prescindere dal misticismo che lo pervade: un romanzo, un vero romanzo. Alla fine da quella piscina non avrei voluto uscire.
Diciamolo pure, se non fosse stato per il mio viaggio di quest'estate in Galles e Cornovaglia, sulle orme di Re Artù e dei suoi cavalieri, da questo libro mi sarei tenuto ben alla larga. Diffidandone con tutto il cuore.
Però è così: sono tornato e ho deciso di dedicare questo autunno, forse anche l'inverno alle storie del Re dei Britanni, con tutto quello che ne discende: compresa l'estenuante ricerca del Santo Graal. Per questo mi sono imbattuto anche in questa opera di Robert de Boron, scrittore di Francia, anzi, di Borgogna, dell'epoca della cavalleria e delle crociate.
E alle sue pagine mi sono avvicinato come chi se ne sta al bordo della piscina e sfiora l'acqua con le dita del piede, perché non sia mai, magari è troppo fredda. Per poi trovarmi di colpo in acqua e nuotare, a nuotare con il freddo che se c'è stato ora se n'è andato via.
E ho letto di Giuseppe di Arimatea, primo custode del calice che raccolse il sangue di Cristo. Ho letto di Merlino, nato dall'unione di una donna e del diavolo, dotato del dono della profezia e della metamorfosi, profeta del Graal e guida di Artù. Ho letto dei cavalieri della Tavola Rotonda, delle loro peripezie, dei loro duelli, dei loro viaggi per mare e per terra. Ho letto infine di Perceval, il più indomito ma soprattutto il più puro di tutti, che arrivato al Graal una prima volta se ne dovrà tornare indietro perché non ha posto la domanda che doveva porre. Ma che in seguito - dopo aver ancora tanto cercato e penato - del Graal potrà diventare l'ultimo custode.
Sorprendente, coinvolgente, enigmatico, anche a prescindere dal misticismo che lo pervade: un romanzo, un vero romanzo. Alla fine da quella piscina non avrei voluto uscire.
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