Qual è dunque l'ideale che ci anima ormai, la favola dell'uomo nomade d'oggi?
Gira intorno a questo interrogativo uno dei pochi titoli che ancora mancava alla mia lettura tra le tante proposte dalla splendida collana Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo. Piccoli libri, appunto, ma grandi domande su ciò che accompagna i nostri viaggi e ciò che con i viaggi cambia in noi e nel mondo.
Il richiamo della strada del grande viaggiatore Sèbastien Jallade prende di petto la domanda che viene prima di tutte le altre domande sul viaggio, la domanda senza la quale forse ci potrebbe essere turismo, spostamento fisico più o meno volontario da un luogo all'altro di una mappa geografica, ma non viaggio.
Che cos'è che ci mette davvero in movimento?
Attenzione allora al sottotitolo del libro: Piccola mistica del viaggiatore in partenza. Che è certamente intrigante ma ci suggerisce anche che Jallade non si contenta di risposte in superficie. Non ci si lascia la casa alle spalle solo per una felice intuizione, non ci si può accontentare solo del gioco delle circostanze.
No, partire è una scelta che ci chiama in causa, che mette in gioco la nostra vita come poco altro. In fondo è un atto di libertà e la libertà non è solo lasciare qualcosa, è anche dare una forma, un senso, almeno un sentimento a ciò che succederà dopo la partenza.
E se un tempo chi viaggiava per scelta era soprattutto un esploratore o un avventuriero, oggi nel mondo apparentemente senza più sorprese, possiamo sempre essere scopritori. Se non altro di noi stessi. Senza patire troppa nostalgia per l'ampiezza del mondo di una volta.
Importanti, non banali le riflessioni di Jallade. In particolare quelle su un nomadismo senza legami - e magari da turismo organizzato - a cui contrapporre positivamente una sedentarietà in un posto dove non abbiamo radici, ma in cui possiamo comunque provare a reinventarci.
Perché in questo mondo ci sono molti modi di vivere l'altrove. E ci può essere un viaggio, ma anche una scelta più definitiva, dove la partenza non implica il ritorno.
Gira intorno a questo interrogativo uno dei pochi titoli che ancora mancava alla mia lettura tra le tante proposte dalla splendida collana Piccola filosofia di viaggio di Ediciclo. Piccoli libri, appunto, ma grandi domande su ciò che accompagna i nostri viaggi e ciò che con i viaggi cambia in noi e nel mondo.
Il richiamo della strada del grande viaggiatore Sèbastien Jallade prende di petto la domanda che viene prima di tutte le altre domande sul viaggio, la domanda senza la quale forse ci potrebbe essere turismo, spostamento fisico più o meno volontario da un luogo all'altro di una mappa geografica, ma non viaggio.
Che cos'è che ci mette davvero in movimento?
Attenzione allora al sottotitolo del libro: Piccola mistica del viaggiatore in partenza. Che è certamente intrigante ma ci suggerisce anche che Jallade non si contenta di risposte in superficie. Non ci si lascia la casa alle spalle solo per una felice intuizione, non ci si può accontentare solo del gioco delle circostanze.
No, partire è una scelta che ci chiama in causa, che mette in gioco la nostra vita come poco altro. In fondo è un atto di libertà e la libertà non è solo lasciare qualcosa, è anche dare una forma, un senso, almeno un sentimento a ciò che succederà dopo la partenza.
E se un tempo chi viaggiava per scelta era soprattutto un esploratore o un avventuriero, oggi nel mondo apparentemente senza più sorprese, possiamo sempre essere scopritori. Se non altro di noi stessi. Senza patire troppa nostalgia per l'ampiezza del mondo di una volta.
Importanti, non banali le riflessioni di Jallade. In particolare quelle su un nomadismo senza legami - e magari da turismo organizzato - a cui contrapporre positivamente una sedentarietà in un posto dove non abbiamo radici, ma in cui possiamo comunque provare a reinventarci.
Perché in questo mondo ci sono molti modi di vivere l'altrove. E ci può essere un viaggio, ma anche una scelta più definitiva, dove la partenza non implica il ritorno.
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