Guarda che sorprese che ti riserva la storia, se solo viene da fare un passo oltre i luoghi comuni e gettare sulle stesse vicende un altro sguardo.
L'impresa di Fiume, per esempio, così come viene chiamata l'occupazione della città oggi in Croazia da parte di Gabriele D'Annunzio e dei suo legionari, nel 1919. Solo un episodio da poche righe sui manuali scolastici, appendice alle tragedie della Grande Guerra e avvisaglia del fascismo che di lì a poco si sarebbe preso l'Italia.
Ed ecco, anch'io la avevo lasciata da parte in questo modo, come qualcosa da maneggiare con cautela. Quasi la prova generale della Marcia su Roma. A Fiume, avevo imparato, si liberarono le tossine pronte ad avvelenare la politica nazionale. Si imparò che era meglio parlare alle viscere che alla testa delle persone, che i colpi di mano funzionavano più delle regole, che le crisi si possono fronteggiare con le ricette del nazionalismo.
Poi ti capita sotto gli occhi questo libro: Alla festa della rivoluzione di Claudia Salaris (Il Mulino). E scopri che non è che non sia vero quello che già sapevi, ma che dentro quella vicenda c'era anche molto altro, perfino di segno opposto.
Perché questa fu l'impresa di Fiume: avventura tutta da scrivere, caleidoscopio di sogni, piantagione di possibilità da seminare e far crescere. Utopia, ribellione, caos (poco) organizzato: comunque magnete che attrasse la gente più varia e singolare, alla ricerca di qualcosa che per tutti era diverso e per pochi aveva il pregio della chiarezza.
Allo stesso modo dei futuristi che pochi anni prima erano partiti per il fronte come volontari, arruolandosi nel Battaglione Ciclisti: e difficile raccontare quante cose si portarono dietro, ansie e smanie, miti della patria e dell'eroe, illusioni di bella morte.
E così a Fiume ci fu di tutto: beffe e bravate avanguardiste, gioco e guerra, liberazione sessuale, droga e pirateria.
In quel calderone di artisti e ribelli, di dandy e scalmanati ci fu modo di guardare con simpatia alla Rivoluzione Russa e di organizzare un movimento yoga. Si lanciarono proclami per modellare la storia a propria immagine e volontà, ma intanto si azzardò la festa permanente e si inscenarono marce di primavera e cortei dell'allegria. Anche la qualità del tempo cambiò. E col tempo, fu la grande occasione dell'istinto, del capriccio, dell'azione fine a se stessa, del gesto buono per l'istante. Persino nel vestire Fiume divenne laboratorio di libertà e stravaganza.
Non me l'aspettavo: allora anche Fiume è acqua di quell'altro fiume, quello che per tutto il Novecento scorre, a volte in superficie a volte sotterraneo. Rivolta che di tanto in tanto occupa le pagine della storia, come nel Sessantotto, come nel Settantasette. E che brucia tutto nel presente in nome di un tempo a venire pronto a morire come una farfalla.
L'impresa di Fiume, per esempio, così come viene chiamata l'occupazione della città oggi in Croazia da parte di Gabriele D'Annunzio e dei suo legionari, nel 1919. Solo un episodio da poche righe sui manuali scolastici, appendice alle tragedie della Grande Guerra e avvisaglia del fascismo che di lì a poco si sarebbe preso l'Italia.
Ed ecco, anch'io la avevo lasciata da parte in questo modo, come qualcosa da maneggiare con cautela. Quasi la prova generale della Marcia su Roma. A Fiume, avevo imparato, si liberarono le tossine pronte ad avvelenare la politica nazionale. Si imparò che era meglio parlare alle viscere che alla testa delle persone, che i colpi di mano funzionavano più delle regole, che le crisi si possono fronteggiare con le ricette del nazionalismo.
Poi ti capita sotto gli occhi questo libro: Alla festa della rivoluzione di Claudia Salaris (Il Mulino). E scopri che non è che non sia vero quello che già sapevi, ma che dentro quella vicenda c'era anche molto altro, perfino di segno opposto.
Perché questa fu l'impresa di Fiume: avventura tutta da scrivere, caleidoscopio di sogni, piantagione di possibilità da seminare e far crescere. Utopia, ribellione, caos (poco) organizzato: comunque magnete che attrasse la gente più varia e singolare, alla ricerca di qualcosa che per tutti era diverso e per pochi aveva il pregio della chiarezza.
Allo stesso modo dei futuristi che pochi anni prima erano partiti per il fronte come volontari, arruolandosi nel Battaglione Ciclisti: e difficile raccontare quante cose si portarono dietro, ansie e smanie, miti della patria e dell'eroe, illusioni di bella morte.
E così a Fiume ci fu di tutto: beffe e bravate avanguardiste, gioco e guerra, liberazione sessuale, droga e pirateria.
In quel calderone di artisti e ribelli, di dandy e scalmanati ci fu modo di guardare con simpatia alla Rivoluzione Russa e di organizzare un movimento yoga. Si lanciarono proclami per modellare la storia a propria immagine e volontà, ma intanto si azzardò la festa permanente e si inscenarono marce di primavera e cortei dell'allegria. Anche la qualità del tempo cambiò. E col tempo, fu la grande occasione dell'istinto, del capriccio, dell'azione fine a se stessa, del gesto buono per l'istante. Persino nel vestire Fiume divenne laboratorio di libertà e stravaganza.
Non me l'aspettavo: allora anche Fiume è acqua di quell'altro fiume, quello che per tutto il Novecento scorre, a volte in superficie a volte sotterraneo. Rivolta che di tanto in tanto occupa le pagine della storia, come nel Sessantotto, come nel Settantasette. E che brucia tutto nel presente in nome di un tempo a venire pronto a morire come una farfalla.
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