Sono solo un giornalista, e per giunta dei più comuni, nel vero senso della parola. Con una moglie, due bambini e un cocker.
Così dice di sé Hervé Clerc. E benché non sia propriamente un giornalista comune non è per questo che merita farne la conoscenza, piuttosto per quello che di lui scrive il suo grande amico Emmanuel Carrère: "Hervé appartiene a quella categoria di persone per le quali essere non è un fatto ovvio".
Di Hervé sostiene anche che sia l'uomo meno fanatico del mondo e il più libero dai pregiudizi. E già questo basterebbe. Ma la questione è che un giorno ormai lontano, svanito l'entusiasmo del Maggio francese ma non ancora conclusa la giovinezza che invita alla ricerca, Hervè si trovò a incrociare il buddismo.
Lo scoprì nudo, immobile, vuoto. Nemmeno seppe dargli un nome e del resto tutto accadeva al di fuori delle parole. Ma senza diventare buddista da allora ha continuato a inoltrarsi in quell'oceano di saggezza, sospinto dal vento delle domande più che dalla fame di risposte.
Tutto questo ora potete leggere in Le cose come sono (Adelphi), libro scritto avendo per la testa il lettore più lontano dal buddismo: un lettore francese radicato nella propria cultura, con il basco e la baguette sotto braccio, un lettore che ha tanta voglia di convertirsi al buddismo quanto di barattare il proprio bicchiere di Beaujolais con una tazza di sakè.
E così potrete scoprire che per un fiocco di neve è confortante pensare di non aver concluso la corsa, quando si confonde con l'acqua sporca del rigagnolo. Che siamo chiamati a percorrere una strada, non a raggiungere una meta, perché la fine del mondo, il luogo senza nascita né vecchiaia né morte, è in realtà il nostro corpo. Che bisogna abbattere gli alberi che nascondono la foresta. Che a volte la follia è la cosa più ragionevole che ci sia al mondo. E molto altro ancora.
No, non è la solita storia del naufrago del Sessantotto che si aggrappa al relitto di una fede purchessia. Buddismo, dice Hervé, è la religione dell'attenzione. Queste pagine sono una buona palestra di attenzione.
Così dice di sé Hervé Clerc. E benché non sia propriamente un giornalista comune non è per questo che merita farne la conoscenza, piuttosto per quello che di lui scrive il suo grande amico Emmanuel Carrère: "Hervé appartiene a quella categoria di persone per le quali essere non è un fatto ovvio".
Di Hervé sostiene anche che sia l'uomo meno fanatico del mondo e il più libero dai pregiudizi. E già questo basterebbe. Ma la questione è che un giorno ormai lontano, svanito l'entusiasmo del Maggio francese ma non ancora conclusa la giovinezza che invita alla ricerca, Hervè si trovò a incrociare il buddismo.
Lo scoprì nudo, immobile, vuoto. Nemmeno seppe dargli un nome e del resto tutto accadeva al di fuori delle parole. Ma senza diventare buddista da allora ha continuato a inoltrarsi in quell'oceano di saggezza, sospinto dal vento delle domande più che dalla fame di risposte.
Tutto questo ora potete leggere in Le cose come sono (Adelphi), libro scritto avendo per la testa il lettore più lontano dal buddismo: un lettore francese radicato nella propria cultura, con il basco e la baguette sotto braccio, un lettore che ha tanta voglia di convertirsi al buddismo quanto di barattare il proprio bicchiere di Beaujolais con una tazza di sakè.
E così potrete scoprire che per un fiocco di neve è confortante pensare di non aver concluso la corsa, quando si confonde con l'acqua sporca del rigagnolo. Che siamo chiamati a percorrere una strada, non a raggiungere una meta, perché la fine del mondo, il luogo senza nascita né vecchiaia né morte, è in realtà il nostro corpo. Che bisogna abbattere gli alberi che nascondono la foresta. Che a volte la follia è la cosa più ragionevole che ci sia al mondo. E molto altro ancora.
No, non è la solita storia del naufrago del Sessantotto che si aggrappa al relitto di una fede purchessia. Buddismo, dice Hervé, è la religione dell'attenzione. Queste pagine sono una buona palestra di attenzione.
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