Nel posto dove sono nata sarei anche potuto venire al mondo come bosniaca. Sarei stata la stessa persona, eppure tu mi avresti guardata con occhi diversi - come vittima. In quanto serba, tutti mi vedono come potenziale carnefice, senza sapere niente della mia vita e dimenticando che ci sono vittime anche tra i carnefici e che le vittime diventano carnefici nel momento in cui ne hanno l'opportunità.
Ecco, forse basterebbero queste cinque righe, per consigliarvi la lettura di Mare calmo di Nicol Ljubic, giornalista nato a Zagabria ma che vive e lavora in Germania e che in tedesco scrive. E che tedesco a tutti gli effetti è, non fosse che presumibilmente si porta dietro le memorie e le ferite dei Balcani da cui proviene, passato con cui non è facile fare i conti.
Nemmeno quando il presente è quiete (apparente) dopo la tempesta, mare calmo, appunto. Sotto si agitano sempre le correnti.
Ed è questa anche la storia del libro. Che è una storia di amore di due ragazzi per cui la guerra in Bosnia potrebbe essere un ricordo sfocato di infanzia, ciò che i padri e i nonni raccontano, qualora non preferiscano il silenzio. Ma cosa succede se i due appartengono - brutto questo verbo, ma è il caso di usarlo - se appartengono a storie diverse e contrapposte del mattatoio in Bosnia? Cosa succede se il padre di lei viene accusato di crimini di guerra e consegnato al Tribunale dell'Aia per il processo?
Sulla trama non aggiungo niente - leggetelo piuttosto questo libro, con cui l'editore Keller ancora una volta ci accompagna nelle letterature e nelle storie di un'Europa che conosciamo meno e che talvolta addirittura stentiamo a riconoscere tale.
Leggetelo - per scoprire ciò che si agita dopo i naufragi, ciò che rimane come cicatrice anche dopo la lunga convalescenza. E per inseguire, fa sempre bene, le parabole dei sentimenti e delle singole vite allorché si scontrano con i muri della Storia.
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